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Alcamo e la Scuola poetica siciliana

La lingua Volgare
Le lingue d'Oc e d'Oil
La Scuola poetica siciliana
La produzione lirica della Scuola
Giacomo da Lentini, il caposcuola
L'invenzione del Sonetto
Cielo d'Alcamo
Pier della Vigne
Altri poeti della Scuola
Il matematico Leonardo Fibonacci
Federico II e gli Svevi
Guelfi e ghibellini
 
Alcamo e la sua storia
Il castello d'Alcamo e le
antiche mura

Il castello di Calatubo
La Chiesa Madre ed altre chiese
Riserva naturale Bosco di Alcamo

Video su Federico II e la
Scuola siciliana

Video su Alcamo
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ALCAMO E LA SCUOLA SICILIANA

        Alla base dei grandi poeti
   toscani del Trecento (Dante, Petrarca
   e Boccaccio) vi è l’uso aulico del
   Volgare fatto dalla Scuola poetica
   siciliana alla Corte di Federico II di
   Svevia. Riscopriamola unitamente
   ad Alcamo, la città natale di Ciullo.

   

    Alcamo e la sua storia

   
     
     

 

 

Vedita del comune di Alcamo

6 luglio 2007
Foto da Wikimedia Commons

 






 

La cittadina di Alcamo, di circa 46.000 abitanti, sorge a valle del Monte Bonifato (raggiunge gli 825 metri s.l.m.), che ospita la Riserva naturale del Monte Bonifato. Si trova a metà strada (circa 50 km) tra le città di Palermo e Trapani, che la comprende nella sua provincia. A nord, a 6 km dal centro urbano, si trova la sua frazione più importante, Alcamo Marina, che si affaccia direttamente sul mar Tirreno, al centro del Golfo di Castellammare.

Il toponimo "Alcamo" ha origini arabe. Esistono due ipotesi. La prima lo fa risalire al nome del comandante arabo che la fondò, nell'828, di nome al-Qāmūq. La seconda lo fa originato dal termine arabo al-qama, che vuol dire "terra fangosa" o "terra fertile".
Una leggenda racconta che la città fu costruita sulle rovine di un’antica città romana, tale
Longaricum. Le due colline che appaiono nello stendardo, sarebbero il simbolo delle due città, Longaricum ed Alcamo.
Il famoso Libro di Ruggero II, redatto dal geografo arabo Idrisi, per conto del re normanno, nel 1154, cita, per la prima volta l’abitato di Alcamo. La chiama manzil ovvero "casale o gruppo di case", distante un miglio arabo dal castello di Calatubo, i cui ruderi si possono vedere nelle campagne del comune trapanese. La fondazione araba sarebbe, comunque, provata da un documento del 1185 di un pellegrino andaluso, che percorreva la strada che da Palermo portava a Trapani. Sul suo diario di viaggio annotò del borgo di Alcamo, che definì beleda: paese con un mercato e molte mosche.

L’antico borgo, diviso in quattro casali (S. Vito, S. Leonardo, S. Ippolito e S. Nicolò), sotto il dominio arabo e poi normanno, era abitato prevalentemente da una popolazione musulmana. Durante il seguente periodo svevo, alla rivolta dei saraceni, Federico II rispose con pugno di ferro, e la popolazione di Alcamo fu deportata a Lucera. Lentamente l’abitato di Alcamo si cristianizzò.

Durante il periodo medievale si alternarono diversi feudatari di diverse famiglie nobiliari, che realizzarono castelli possenti e mura che circondavano il centro storico, per la difese dalle incursioni dei pirati turchi.
Nel XVI secolo vennero aperte ad Alcamo diverse scuole, dove insegnò, tra gli altri dotti, il poeta Sebastiano Bagolino (1562-1604).
Sempre nel Cinquecento, avvengono ad Alcamo alcune apparizioni della Madonna ed il prezioso ritrovamento di un dipinto della Vergine. Verrà denominata Maria Santissima dei Miracoli (1547).
Fu un periodo di grandi costruzioni architettoniche. Tra XVI e il XVII secolo, ad Alcamo vennero costruite la Chiesa Madre e la ricostruzione della chiesa di SS. Paolo e Bartolomeo. Vennero, inoltre, restaurate o completate  la chiesa di S. Oliva, la chiesa del Collegio e la chiesa di San Francesco di Paola. La preziosa Chiesa Madre, progettata dagli architetti Angelo Italia e Giuseppe Diamante, fu decorata con 38 affreschi, opera del pittore fiammingo Guglielmo Borremans (1699).
Nel 1667, fu costruito, per volontà di Mariano Ballo, il teatro Ferrigno. Successivamente venne chiamato cine-teatro Euro. Oggi è conosciuto come teatro Cielo d'Alcamo.
Ciononostante, questo periodo di grande rinascita architettonica e culturale, fu funestato da orribili pestilenze e rivolte. Memorabile il morbo che si scatenò tra il 1574 e il 1575. I numerosissimi cadaveri vennero sepolti nel cimitero di S. Ippolito. Dopo le epidemie la città stremata ricomincioò a ripopolarsi nel XVIII secolo. Alla fine di questo, Alcamo contava 13.000 abitanti.
Il poeta tedesco Goethe nel suo grand tour in Sicilia, del 1787, appunta, nel suo diario di viaggio, parole lusinghiera sulla cittadina di Alcamo.
Nella prima metà del XIX secolo scoppiano violente insurrezioni popolari, con distruzioni, saccheggi, incendi ed omicide, sia per motivi economici sia risorgimentali (
1812, 1820, 1848, 1860). Nel 1829, vi fu una terribile pestilenza di colera.

Le rivolte per il raggiungimento dell’Unità d’Italia sono portate avanti dalle famiglie alcamesi di
Romano, Fazio e Triolo di Sant'Anna. Nel 1860, Stefano e Giuseppe Triolo, con lo sbarco di Giuseppe Garibaldi a Marsala, issano sul palazzo comunale (costruito da poco, nel 1843) il tricolore (il 6 aprile 1860). Vengono inviati volontari in soccorso dei garibaldini, che combatteranno la cruciale battaglia di Calatafimi.
Un altro debito di sangue pagato dagli alcamesi furono i quattrocento morti nella prima guerra mondiale, e gli oltre cinquecento che causerà
l'epidemia influenzale, chiamata "spagnola", del 1918. Il dopoguerra ad Alcamo fu durissimo, per colpa dell'inflazione monetaria, che creerà miseria e con conseguente  brigantaggio. Durante ul periodo fascista i cittadini di Alcamo fecero richiesta per l’elevamento della città a capoluogo di provincia. La proposta venne rigettata.
Dopo la seconda guerra mondiale, Alcamo ha registrato un grande ampliamento del tessuto urbano e relativa popolazione. La zona maggiormente interessata dall’espansione è quella ai piedi
del monte Bonifato.
Tra la fine degli anni ottanta e gli inizi dei Novanta, purtroppo, ad Alcamo scoppiò una terribile guerra di Mafia. Si scontrarono due “famiglie” mafiose, quella storica dei Greco e quella degli emergenti corleonesi, guidata da Totò Riina, per il controllo delle aree interessate. “Vinsero” questi ultimi, ma rimasero molti morti sul selciato delle strade, di ambedue i gruppi, giustiziati nei continui regolamenti di conti.

 
 

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