13/16
La Settimana Santa nei rituali siciliani.
Bullet7blu.gif (869 byte) La Settimana Santa in Sicilia
Bullet7blu.gif (869 byte) Il clou del Venerdì Santo
Bullet7blu.gif (869 byte) L’insospettabile potere delle Confraternite
Bullet7blu.gif (869 byte)
Le confraternite in processione
ad Enna

Bullet7blu.gif (869 byte) I tremila incappucciati di Enna
Bullet7blu.gif (869 byte) La processione “dei Misteri” di Trapani

Bullet7blu.gif (869 byte) Le “Maestranze” di Trapani
Bullet7blu.gif (869 byte) Il triduo pasquale di Ispica (RG)
Bullet7blu.gif (869 byte) “I Santoni” di Aidone (EN)

 

Bullet7blu.gif (869 byte) La "Festa dei Giudei" di
San Fratello (ME)

Bullet7blu.gif (869 byte)
“Il ballo dei diavoli”
di Prizzi (PA)

Bullet7blu.gif (869 byte) I riti pasquali di Augusta (SR) e Assoro (EN)
Bullet7blu.gif (869 byte)
I significati della Pasqua
Bullet7blu.gif (869 byte) I dolci siciliani di Pasqua

Bullet7blu.gif (869 byte) Video sulle Processioni
Bullet7blu.gif (869 byte)
Video sulle Processioni /2

Bullet7blu.gif (869 byte)Bullet7blu.gif (869 byte) INDIETRO

   
         
       LA SETTIMANA SANTA

          "…non c'è paese in Sicilia, in cui
    la passione di Cristo non riviva
    attraverso una vera e propria
    rappresentazione, in cui persone
    vive o gruppi statuari non facciano
    delle strade e delle piazze il teatro
    di quel grande dramma..."
    (Leonardo Sciascia).

   
   
     I significati della Pasqua.    
     
Testo di Giovanni Cammareri     

 
 
 
Gli incappucciati della Pasqua a Trapani

 

 







 

  Gli israeliti la chiamavano Pesach, che significa passaggio. Essi festeggiavano in quella giornata il ritorno della primavera e quella prima luna piena era legata ad un tale dio lunare, così che alla crescita della luna ci si auspicava una maggiore prolificazione delle greggi.
Ma quanti altri significati dietro la “Pasqua”: la liberazione degli Ebrei dalla schiavitù, il “passare oltre” della tradizione biblica a commemorazione del Dio d’Israele che nella notte fra il 14 e 1 5 del mese di Abib, quella dell’uccisione dei primogeniti, risparmiò proprio i bambini ebrei.
Taluni critici ritengono che il racconto biblico celi l’interpretazione della festa più antica d’Israele e il parallelismo fra i primogeniti uccisi e l’uccisione del primogenito del gregge (capro espiatorio) risulta evidente; il moltiplicarsi delle pecore fa ancora una volta risultare evidente il solito contrapporsi della vita sulla morte.
La festa durava sette giorni, imponeva il riposo nel primo e nell’ultimo giorno, celebrazioni nel tempio di Gerusalemme dove si svolgevano per tutta la sua durata solenni pellegrinaggi.
Il cibo era anch’esso prestabilito: pane azzimo e primizie agricole offerte il 16 di Nisan sotto forma di un fascio di spighe, infine, immancabilmente, l’agnello.
Il tutto legato, come si diceva all’inizio, al simbolismo stagionale della luna piena, equinozi e solstizi che rappresentavano nella coscienza mitica, ma non solo in quella, i momenti cruciali dell’alternarsi fra la luce e il buio dove l’equinozio di primavera segna il prevalere della luce sull’ombra, retaggio dell’inverno, simbolo della morte; da quel momento ci si avvia così verso il tepore della rinascita;dunque ecco la Pesach o Pesacii, ecco finalmente il “passaggio”.  

  

Successivamente, a partire dal II secolo dopo Cristo, la celebrazione cristiana della Pasqua integra e quasi si contrappone a quella ebraica diventando la più solenne fra le feste cristiane e regolando tra l’altro, buona parte dell’anno liturgico. Così, il lungo periodo che inizia con la Quaresima e finisce con la resurrezione di Cristo ci fa ancora ricordare quella concezione preclassica che è soprattutto l’avvicendamento vita-morte per nulla superata dall’incalzare degli anni.
Sembra inoltre evidente, come la Chiesa intese continua­re l’omonima solennità giudaica imprimendole però un certo significato autonomo.
Non mancano però i contrasti, in Oriente probabilmente dovuto ad una falsa etimologia della parola, attribuita alla derivazione greca che tradotta significa patire. Ne consegue una interpretazione pessimistica della Pasqua, tanto che ancora oggi in Grecia si vuole chiamare il Venerdì Santo: Pasqua della crocifissione.
In Occidente invece, è diverso; piace sottolineare come il concetto dominante di Pasqua sia il primo, sicuramente più bello e più ottimista rispetto a quello orientale; infatti nel 325 d.C., il concilio di Nicea decise, nel pieno rispetto della tradizione ebraica, di far cadere la Pasqua nella domenica che segue il primo plenilunio di primavera.
Le feste pasquali vere e proprie, raggiungono il loro culmine con l’arrivo della Settimana Santa la quale si porta dietro un numero abbastanza elevato di celebrazioni più o meno religiose.
In ogni caso il fatto però, non di poca importanza, resta quello che la Pasqua, rappresenta per il mondo intero la ricorrenza più importante, sia per il suo significato cristiano legato al concetto della resurrezione di Cristo, sia per le accennate radici non propriamente cristiane che fanno di siffatta ricorrenza un curioso miscuglio fra religione e simbolismi, talvolta complicati per una profonda e corretta interpretazione; per non parlare infine della lungaggine relativa a tutto il periodo di preparazione alla Settimana Santa più propriamente identificato con il termine di “Quaresima”.
All’indomani dell’ultimo giorno di carnevale, inizia con il mercoledì delle Ceneri il lungo periodo quaresimale che ha praticamente termine alla mezzanotte di Sabato Santo.
Pasqua e Carnevale risultano strettamente legate fra di loro, oltre che separate sempre dallo stesso numero di giorni, il carnevale lo si stabilisce infatti mediante il calcolo a ritroso a partire dalla prima luna piena di primavera.

 

Sembra che l’usanza di trascorrere il periodo, appunto, quaresimale, risalga al quarto secolo d.C. I 40 giorni di cui consta, non sono stati sempre tanti, come neanche il numero 40 è dettato dalla casualità: sono infatti stati 40 i giorni in cui Cristo digiunò nel deserto, furono 40 i giorni del viaggio dell’apocalittico profeta Elia partito dal monte Carmelo per annunciare la punizione per l’idolatria al volere di Yahweh; 40 i giorni del diluvio universale e del digiuno di Mosè.
Racconti biblici a parte, non mancano le storie da leggenda, quasi a voler fare del tutto un po’ un gioco, un’ennesima dimostrazione di un certo carisma in cui era avvolto tutto questo periodo, così la battaglia fra Caréme e Charmage, leggenda francese del 1200 ne è un esempio.
I personaggi principali sono ovviamente i due cavalieri: il primo molto amico di abati e sacerdoti, l’altro ammirato e onorato dal popolo.
Il terzo personaggio sicuramente più conosciuto dei due, ma non certamente principale della storia anche se causa della cavalleresca vicenda è nientemeno Luigi IX, reo, si fa per dire, di aver ospitato a corte in occasione della festa della Pentecoste e per un intero anno il non molto amato dal popolo, Caréme.
Le reazione dell’invidioso Charmage fu prevedibile, considerando i tempi, e la sfida a duello, scontata.
Nel giorno e nell’ora prefissata, quest’ultimo arrivò a cavallo di un cervo dalle corna lunghissime e zeppe di allodole, sulla testa l’elmo fatto di pelle di cinghiale sormontato da un pavone.
Dalla sua, Caréme venne armato di una sogliola che fungeva da spada, castagne, frutta secca da tirare all’avversa­rio mentre intanto avanzava a cavallo di un pesce, e per difendersi, una ruota di formaggio a mò di scudo.
Sulle prime della battaglia fu Charmage ad avere il sopravvento, ma ben presto, grazie all’aiuto di un esercito di gamberi, anguille e lucci, la situazione si capovolse a favore di Caréme.
Durò poco il suo vantaggio; arrivò infatti, in favore del primo: un bue, una gru, un’aquila, un airone, preziosi alleati che costrinsero Caréme alla ritirata.
Era ormai guerra fra i due, e quando Caréme tentò una controffensiva, sopraggiunse Re Natale, grosso alleato di Charmage che costrinse il suo povero rivale alla definitiva resa e ai conseguenziali soliti patti del perdente.
Le invidie di Charmage furono così placate considerando che Caréme da quel momento poteva essere ospitato a corte da Luigi IX soltanto per 40 giorni l’anno.
Facili le analogie del racconto da cui emergono simbolismi che sembrano non finire mai.
Così la Quaresima fu anche un gioco visto che faceva vivere alle genti un periodo tutto sommato atteso per le occasioni diciamo “d’incontro” che esso offriva e di cui si avrà modo di parlare.
Ancora ai nostri giorni, risulta praticamente inosservato o inesistente (dipende dai punti di vista), del resto i tempi cambiano.

 

 
 

HOME