E' nelle manifestazioni del Venerdì
Santo, il venerdì dei "Misteri gloriosi", che la funebre
spettacolarità barocca tocca il suo culmine, con le rappresentazioni
dello strazio della Madre Addolorata. Ad Erice, avvolta dalla
nebbia, un rullio di tamburi, segna il momento della condanna a
morte. Il contegnoso corteo muove, lentamente, dalla quattrocentesca
chiesa di Sant'Orsola. Con l’accompagnamento straziante di marce
funebri, sei gruppi artistici settecenteschi, che rappresentano
altrettanti momenti incisivi della Via Crucis, raggiungono il
Calvario, passando per i vicoli di pietra, facendo rimbombare di
passi il selciato. A Noto, in particolare, la processione vespertina
è incentrata sulla “Santa Spina”, una reliquia della corona di spine
portata dalla Palestina nel 1225.
Le processioni sono quasi
sempre decorate con fiorami dai colori brillanti, deposti sul
feretro come si usa nei funerali, ma che nel contempo rappresentano
il simbolo della natura che rinasce, esprimendo un sottointeso
legame con i riti pagani dedicati a Cerere. A Canicattini la
processione dell’Ecce Homo è accompagnata dai Nuri, penitenti scalzi
che indossano un tipico costume ed in capo una corona di ramoscelli
intrecciati; elevano un antichissimo canto popolare, "U venniri ri
Marzu", che si riscontra nelle sue varianti in più parti dell’isola;
il canto si alterna al coro delle “virgineddi” che intonano la
richiesta di una buona annata di raccolti.
Quante processioni del Venerdì Santo
imperniano la loro rappresentazione attorno alla deposizione dalla
Croce dell’ immagine sacra di Cristo? In dialetto la chiamano "Scisa
ra cruci", "Scinnuta" "Scinnenza". Tutte concentrano l’attenzione
sul Cristo e l’Addolorata, velata a lutto, come nella Via Crucis di
Melilli o di Carlentini. Sono spesso rappresentazioni viventi, come
a Vittoria, dove gli abitanti nel loro dialetto recitano il “Dramma
Sacro” fin dal 1668; nel 1850 il canovaccio è stato mutato in una
vera e propria rappresentazione teatrale classicheggiante da un
autore locale, tale Ricca.
Nella notte di Sabato Santo la gente di Ferla si chiede «Cu sa 'unn'è,
mortu è;...cu sa unn'è...» cioè «Chissà dove è, è morto, ma dov’è…»?
E’ la meraviglia di scoprire un sepolcro senza il suo feretro. Le
processioni rappresentano la Madonna velata per lutto che insieme ai
fedeli ricerca suo Figlio, e quest'ultimo, che risorto si cela nella
chiesa dei Cappuccini. La Madonna potrà vedere e riabbracciare il
Figlio Santo solo a mezzogiorno della domenica di resurrezione,
nello "scontru", durante il quale i due cortei si riuniscono
nell'esultanza della folla. E’ questa una scena che si ripete in più
parti della Sicilia: a Melilli, per esempio, posti i due fercoli ai
due angoli opposti della piazza principale, Madre e Figlio si
scorgeranno solo ad un segnale convenuto, e "danzeranno"
gioiosamente fra la gente.
L’umanità è ormai redenta. Come sempre, con il
ripetersi del rito, in Sicilia è tornata a splendere la primavera,
la terra ostenta la sua fertilità e il suo popolo torna a gioire.
Dopo una lunga quaresima terminata con una straziante settimana di
passione, il rito si è compiuto e il mito si è celebrato.
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