I
garibaldini, giunti da sud,
verso le ore 10, si
posizionarono, secondo gli ordini, principalmente. sul Monte
Pietralunga. Giocando in
difesa, cercarono di disporre truppe ai lati, che evitassero
accerchiamenti, mentre l’artiglieria della compagnia Marinai
Cannonieri rimase sulla strada. La compagnia dei Carabinieri
Genovesi si pose sul fondovalle, in ordine sparso. Infine, vennero
inviati gruppi di volontari siciliani alla ricerca del nemico.
Garibaldi diede l’ordine di mimetizzarsi e non farsi vedere, e di
sparare solo su suo ordine.
Anche il generale Landi,
settuagenario, aveva diverse opzioni di scelta: o ritirarsi a
Palermo, evitando insurrezioni alle spalle e riunirsi al grosso
dell’esercito borbonico, o posizionarsi a Calatafimi e scontrarsi
con Garibaldi, utilizzando la propria Brigata. Forse non credendo
nella consistenza del suo avversario, scelse una terza ipotesi.
Mentre sei compagnie di fanteria, e la maggior parte
dell’artiglieria, si insediavano a Calatafimi, inviò altri cinque
distaccamenti verso la campagna intorno al villaggio di Vita: se vi
fossero stati nemici, questi ne sarebbero stati intimoriti. I
borbonici inviati furono suddivisi in tre colonne. La colonna al
comando del Maggiore Sforza, fu segnalata subito dai volontari
siciliani, mandati in perlustrazione. Poco dopo, i soldati borbonici
raggiunsero la sommità della collina del Pianto dei Romani. Di
fronte scorsero del “movimento”. Tuttavia, la maggioranza dei
garibaldini erano nascosti, mentre molti altri non erano in divisa,
ma in abiti civili. Il Maggiore Sforza ritenne di trovarsi di fronte
a un manipolo d’insorti, alla portata delle proprie truppe.
Dopo due ore circa, Sforza decise per l’attacco. I Cacciatori
Napoletani scesero a valle scontrandosi con i carabinieri di
Garibaldi. La prima linea garibaldina contenne l’urto avversario,
rispondendo con raffiche di fucileria e contrattaccando alla
baionetta. I borbonici vennero respinti e ricacciati indietro a metà
del colle. Nonostante il successo conseguito, i garibaldini
impegnati nello scontro erano già in crisi.
A questo punto,
secondo la leggenda, Nino Bixio ordinò di prepararsi ad una
ritirata. Garibaldi intuì il rischio che la ritirata, non essendoci
retrovie, potesse finire in una fuga generale dei suoi
soldati. Ecco
allora pronunciare le fatidiche parole: “Nino, qui si fa l'Italia o
si muore!”. Vero o falso che sia, il garibaldino Giuseppe
Guerzoni, racconta che Garibaldi, visti i suoi soldati in
difficoltà, si lanciò nella prima linea, ad incitare ad un nuovo
assalto all’arma bianca. Anche se stanchi, dopo tre ore di
combattimento, i garibaldini trovarono la forza per un nuovo
attacco. La perseveranza, incredibilmente, portò ad un
capovolgimento della battaglia, e, inaspettatamente, a ritirarsi
furono i borbonici, che si rifugiarono a Calatafimi. Il capo di
stato maggiore Sirtorisi lanciò, in quell’occasione, a recuperare
Garibaldi, che rischiava (e rischiò più volte) d’essere ucciso in
quel giorno. La ritirata degli avversari era talmente
incomprensibile, che Garibaldi, temendo un tranello, non diede
subito l’ordine di un nuovo assalto e perse del tempo a comprendere
ciò che veramente stava accadendo. Quando Garibaldi diede l’ordine,
le truppe del generale Landi, stavano ormai dirigendosi verso
Palermo.
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