Alla
fine dello scontro, durato circa 4 ore, si contarono 32 morti in
entrambe le fazioni. Morirono nello scontro, quel giorno, 19
garibaldini. I feriti vennero portati nella chiesetta di Vita. Tra
questi, oltre lo scrittore Giuseppe Bandi, i due capitani, amici
dello stesso Garibaldi, Simone Schiaffino e Francesco Montanari, che
morirono successivamente quel giorno. I feriti, invece, borbonici
vennero lasciati nella chiesa di Calatafimi. Nella visita di
Garibaldi, che li lodò per il valore, gli assicurò la successiva
libertà. Nonostante, però, le
cure prestate dai medici garibaldini, la tecnica limitata della
medicina in quel tempo, fece crescere a dismisura i caduti. Alla
fine si contarono
33 morti e 174 feriti tra i garibaldini e 35 morti e 118 feriti tra
i borbonici.
Dal lato borbonico, due dei morti si ebbero dal franare di un
cannone, già in fase di ritirata. Il cannone fu acquisito dai
garibaldini, praticamente sprovvisti di artiglieria.
Il successo
ottenuto con la battaglia di Calatafimi, ebbe un’importanza, più che
militare, psicologica. La vittoria e il ritorno delle truppe di
Landi a Palermo, con soldati sfiduciati, stremati dalla
fatica e dalla fame, diede alla popolazione siciliana l’idea di un
Garibaldi vincente e imbattibile, l’unico in grado di scacciare i
Borboni dall’isola. A causa di ciò, ebbe inizio la vera e propria
rivolta, che porterà Garibaldi fino a Napoli.
Gli errori di Landi
L’errore tattico del generale Landi, probabilmente si deve alla sua
insicurezza sulla situazione popolare. Come dimostrerà la rivolta di
Partinico da lì a poco, le classi popolari cercarono effettivamente
di abbattere il dominio borbonico, mai digerito dagli stessi. La
Sicilia stava divenendo un campo minato per i soldati napoletani.
Un ulteriore motivo addebitabile a Landi, è la presa di coscienza
della reale entità dei garibaldini. Le informative borboniche dei
giorni precedenti lo scontro, li descrivevano come una banda di
malviventi e straccioni. D’altra parte la camicia rossa era
indossata dai carcerati delle prigioni borboniche. I Mille, invece,
si dimostrarono all’altezza della situazione, essendo formati per la
metà di giovani che avevano l’esperienza della prima e seconda
guerra d'indipendenza.
Le sconfitte militari pesarono non
poco sui generali borbonici, in particolare su Landi. Al ritorno a
Napoli, insieme ad altri graduati, venne sottoposto al giudizio di
una commissione. Nonostante l’assoluzione, alla fine del processo si
dimise dall’esercito. Pesanti ombre pesarono, comunque, sulla sua
condotta. Tant’è che, nel 1861, i giornali e le voci lo accusarono
d’aver incassato alla filiale partenopea del Banco di Napoli la
cifra di 14.000 ducati d'oro, da parte di Garibaldi per il suo
comportamento nelle vicende di Calatafimi. In realtà fu dimostrato
che il prelievo fu solo
di 14 ducati. Ciononostante, lo scandalo fu fatale a Landi, già
anziano, provocandogli un ictus mortale. Poiché le voci non
cessavano, il figlio ottenne e fece pubblicare una lettera di
smentita scritta dallo stesso Garibaldi. L’onore della famiglia
Landi fu riparato. Quattro dei cinque figli del generale Landi, che
erano già in servizio nell’esercito borbonico, passarono
all’esercito piemontese. Un quinto figlio, Francesco Saverio, si
fece onore e morì nella battaglia del Volturno.
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