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Calatafimi, dagli elini di Segesta a Garibaldi

Le origini di Segesta
La sua evoluzione storica
Il tempio ed il teatro di Segesta

La storia recente di Calatafimi
Il castello di Calatafimi
Chiese e feste religiose
Le Terme segestane
I formaggi locali

    LA BATTAGLIA
Garibaldi dopo lo sbarco a Marsala
La battaglia di Calatafimi
Sviluppi e riflessioni
Il Sacrario di Pianto Romano

Video su Calatafimi Segesta
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     CALATAFIMI SEGESTA

        Calatafimi, oggi denominata
   Calatafimi Segesta, ha nel duplice
   nome tutta la grandezza di due periodi
   storici. Dalla magnificenza degli elimi
   di Segesta, nell’antichità, alla battaglia
   avvenuta tra Garibaldi ed i borbonici,
   tappa fondamentale del nostro
   Risorgimento.

   

    Sviluppi e riflessioni

     
     

 
   

Cacciatori del Real Esercito del Regno delle due Sicilie

Bacefik
Foto da Wikimedia Commons

 





 Alla fine dello scontro, durato circa 4 ore, si contarono 32 morti in entrambe le fazioni. Morirono nello scontro, quel giorno, 19 garibaldini. I feriti vennero portati nella chiesetta di Vita. Tra questi, oltre lo scrittore Giuseppe Bandi, i due capitani, amici dello stesso Garibaldi, Simone Schiaffino e Francesco Montanari, che morirono successivamente quel giorno. I feriti, invece, borbonici vennero lasciati nella chiesa di Calatafimi. Nella visita di Garibaldi, che li lodò per il valore, gli assicurò la successiva libertà. Nonostante, però,  le cure prestate dai medici garibaldini, la tecnica limitata della medicina in quel tempo, fece crescere a dismisura i caduti. Alla fine si contarono 33 morti e 174 feriti tra i garibaldini e 35 morti e 118 feriti tra i borbonici.
Dal lato borbonico, due dei morti si ebbero
dal franare di un cannone, già in fase di ritirata. Il cannone fu acquisito dai garibaldini, praticamente sprovvisti di artiglieria.

Il successo ottenuto con la battaglia di Calatafimi, ebbe un’importanza, più che militare, psicologica. La vittoria e il ritorno delle truppe di Landi a Palermo, con soldati sfiduciati, stremati dalla fatica e dalla fame, diede alla popolazione siciliana l’idea di un Garibaldi vincente e imbattibile, l’unico in grado di scacciare i Borboni dall’isola. A causa di ciò, ebbe inizio la vera e propria rivolta, che porterà Garibaldi fino a Napoli.

Gli errori di Landi
L’errore tattico del generale Landi, probabilmente si deve alla sua insicurezza sulla situazione popolare. Come dimostrerà la rivolta di Partinico da lì a poco, le classi popolari cercarono effettivamente di abbattere il dominio borbonico, mai digerito dagli stessi. La Sicilia stava divenendo un campo minato per i soldati napoletani.
Un ulteriore motivo addebitabile a Landi, è la presa di coscienza della reale entità dei garibaldini. Le informative borboniche dei giorni precedenti lo scontro, li descrivevano come una banda di malviventi e straccioni. D’altra parte la camicia rossa era indossata dai carcerati delle prigioni borboniche. I Mille, invece, si dimostrarono all’altezza della situazione, essendo formati per la metà di giovani che avevano l’esperienza della prima e seconda guerra d'indipendenza.

Le sconfitte militari pesarono non poco sui generali borbonici, in particolare su Landi. Al ritorno a Napoli, insieme ad altri graduati, venne sottoposto al giudizio di una commissione. Nonostante l’assoluzione, alla fine del processo si dimise dall’esercito. Pesanti ombre pesarono, comunque, sulla sua condotta. Tant’è che, nel 1861, i giornali e le voci lo accusarono d’aver incassato alla filiale partenopea del Banco di Napoli la cifra di 14.000 ducati d'oro, da parte di Garibaldi per il suo comportamento nelle vicende di Calatafimi. In realtà fu dimostrato che il prelievo fu solo
di 14 ducati. Ciononostante, lo scandalo fu fatale a Landi, già anziano, provocandogli un ictus mortale.
Poiché le voci non cessavano, il figlio ottenne e fece pubblicare una lettera di smentita scritta dallo stesso Garibaldi. L’onore della famiglia Landi fu riparato. Quattro dei cinque figli del generale Landi, che erano già in servizio nell’esercito borbonico, passarono all’esercito piemontese. Un quinto figlio, Francesco Saverio, si fece onore e morì nella battaglia del Volturno.

 
 

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