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Mrgantinao, la polis della famosa Venere

La recente scoperta di Morgantina
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La Venere di Morgantina
Il Tesoro di Morgantina
Il Museo archeologico di Aidone

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     LA POLIS DI MORGANTINA

          Nel gioco delle alleanze la polis
    siciliana di Morgantina non fu
    fortunata, tanto che all’inizio dell’età
    imperiale romana era già scomparsa.
    Persino la sua Venere è entrata nel
    contenzioso con il Getty Museum, poi
    risolto. Oggi, la vasta area archeologica
    di venti ettari, non totalmente scavata,
    riserva ancora molte sorprese nel
    particolare campo della bellezza.

   

     La Venere di Morgantina

     
     

 
   

La Venere di Morgantina

sailko - 18 ottobre 2010
Foto da Wikimedia Commons

 






 

Morgantina è famosa soprattutto per il contenzioso nato tra lo Stato italiano e il Getty Museum di Malibu, sorto per la restituzione di importanti ritrovamenti, quali la Venere di Morgantina. Il Paul Getty Museum di Malibu, infatti, aveva acquistato, da fonti insospettabilmente illecite, la Venere ed altri reperti, provenienti dal sito archeologico di Morgantina. Dopo anni di trattative e contestazioni, si è riconosciuto la giustezza delle richieste italiane. Con l’accordo raggiunto le opere sono ritornate in Italia (il 17 marzo 2011) e ora si trovano esposte nel museo archeologico di Aidone.

La Venere di Morgantina o Dea di Morgantina, fu ritrovata nei recenti scavi della relativa polis siciliana. L’opera, di pregiatissima fattura, fu realizzata, in Sicilia, nel V secolo a.C (
tra il 425 a.C. e il 400 a.C.). E’ talmente preziosa che molti la ritengono scolpita da un allievo del famoso artista greco Fidia, che avrebbe operato nella Magna Grecia di quel tempo. La perfetta fattura è chiaramente  in stile  post-fidiaco, diffusosi in Grecia ai tempi della guerra del Peloponneso. E’, per la sua bellezza, paragonata alla Nike di Paionios ad Olimpia e alle Vittorie del Tempio di Atena Nike ad Atene
La Venere di Morgantina è una statua alta 2,24 metri. E’ stata realizzata in calcare colorato, ma presenta sulle parti scoperte, mani e piedi,
l’uso di un marmo pario, similmente alle Metope di Selinunte. E’ stata realizzata per essere guardata a 360°. E’, infatti, lavorata minuziosamente nel panneggio anche nella parte posteriore. Si ergeva, probabilmente, su di un piedistallo in uno spazio aperto, probabilmente all'ingresso del Santuario centrale. Il fatto, invece, che la parte posteriore della testa non sia completata, fa presupporre un copricapo o una parrucca, incollata con uno strato di stucco
A causa del recente contenzioso, sono state fatte analisi scientifiche sulla provenienza del calcare in cui è scolpita la statua. E’ stato accertato che si tratta di materiale siciliano, e, per la precisione, estratto da una cava posta sulla
riva sinistra del fiume Irminio, a poca distanza da Marina di Ragusa.

La disputa dell’opera
Il contenzioso nasce, formalmente, nel 1988, quando il Paul Getty Museum la acquistò ad un'asta della società Robing Symes a Londra. Per essa furono pagati al tempo ben 28 miliardi di lire. Purtroppo la statua era stata trafugata dagli scavi siciliani, insieme a molto altro, che successivamente, fu denominato “il Tersoro di Morgantina”.
Tutto il materiale, poi, fu esposto nel museo di Malibu, negli Stati Uniti.

A cavallo del millennio, i magistrati del tribunale di Enna, istruirono un processo sul furto locale d’arte. Dopo il dibattimento, il
5 marzo del 2001, i giudici condannarono Renzo Canavesi, ricettatore svizzero, a due anni di reclusione. Il Canavesi (ricostruirono i magistrati), venuto in possesso illegalmente dei reperti, li avrebbe rivenduti alla casa d’asta londinese, agli inizi degli anni ottanta, per ben 400.000 dollari. In seguito, come abbiamo visto, le opere, acquistate dal
Getty Museum, presero la strada degli Stati Uniti.
Oltre alla condanna detentiva, il ticinese fu anche condannato
al pagamento di una penale di ben 40 miliardi di lire. L’altissima cifra derivava per il 50% dal valore dell’opera, così come stimato da esperti, e per l’altro 50 % dal rimborso dei danni morali subiti. Quello ennese è stato il processo con la penale più alta mai decretata in Italia per un furto di reperti archeologici.
La restituzione dell’opera all’Italia è avvenuta il
17 marzo 2011, esattamente il giorno in cui si compivano 150 anni dall’Unità d’Italia. La statua è stata esposta due mesi dopo nel Museo Archeologico di Aidone.

 
 

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