Il Bosco di Aci, il famoso bosco dei
giganti, di cui abbiamo visto la leggenda nell’introduzione, era una
macchia fittissima di querce e castagni, d’origine antichissima, che
si estendeva sui territori di Acireale, Acicatena, Aci Bonaccorsi,
Viagrande e Aci Sant'Antonio a Mascali, Giarre e Riposto e verso
l’interno sino a Monterosso (Aci Sant'Antonio) e Fleri (Zafferana
Etnea). Con molta
probabilità l’origine del Bosco è anteriore agli insediamenti
sviluppatisi nella Terra d’Aci. Era sicuramente attraversato dalla
Consolare Valeria, cioè la strada che da Messina giungeva fino a
Siracusa. Si presentava, quindi, come zona favorevole ai commerci,
ma che al tempo stesso favoriva il brigantaggio e il contrabbando.
Sul Bosco arrivarono le
colate laviche dell’Etna del 394 a.C. e del 1329. Inizia ad essere
citato proprio nelle cronache e nei documenti del Trecento. In
quell’epoca aveva un estensione di 30 chilometri quadrati.
Costituito il distretto amministrativo di Acireale, il Bosco di Aci
accordato in enfiteusi o dietro tassa ai cittadini, che iniziarono
lo sfruttamento economico degli alberi in esso contenuti. Nel
frattempo continuava l’attività redditizia del brigantaggio. Sorse
la leggenda che i briganti sortissero da oscure grotte per assaltare
gli sfortunati viandanti. Dopo averli rapinati, i briganti
velocemente scomparivano nelle loro grotte. In effetti ne sono state
individuate alcune nella zona di Santa Maria degli Ammalati. Tra i
viandanti rapinati celebri si ricorda ancora il nobile magistrato
catanese Cosima Nepita, che in un assalto dei briganti trovò la
morte nel XVI secolo. Di lui rimane il toponimo nella zona del
cattivo incontro, che da allora venne chiamata «Passo
di Nepita» (si trova nel comune di
Acireale). I
disboscamenti intensivi arrivarono con il XVIII secolo, quando il
conte di Mascali (che allora era anche il vescovo di Catania),
concesse in enfiteusi ampie zone di bosco mascalesi ad imprenditori
acesi, che le “trasformarono” in produttivi vigneti. Con le
“trasformazioni” iniziarono anche i primi dissesti idrogeologici.
Dopo un secolo, agli inizi dell’Ottocento il Bosco d’Aci non era più
un’unica entità, ma ne rimanevano solo ampie macchie, anche se
mantenevano una vegetazione molto fitta. Come nella zona detta «la
Scura» (la
buia). Don
Rosario Leotta, che fece l’esperienza di attraversarla, nel 1937
così scriveva: “Una strada tortuosa…
Con poca abitazione, coperta da un bosco che raramente lasciava
penetrare fra i suoi rami la luce del giorno, favorita da grotte
vaste e profonde parecchie centinaia di metri…
Tranne le carovane ben armate, non ci fu persona, che passando di
là, se non la vita, non vi perdesse la roba.”
Del mitico
Bosco di Aci, oggigiorno, ne rimane poco. I relitti di esso si
possono individuare nel Bosco dello
Scacchieri, il bosco di Linera e il bosco di Santa Maria La Stella.
Se pur tardivamente, la Provincia di Catania li ha inclusi nel Piano
territoriale.
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