Fu durante il Vespro siciliano, e la successiva guerra dei
Novant’anni, che il re aragonese Federico III, nel 1297, concesse
l'«Università di Aci», che comprendeva il castello e il
territorio delle Aci, all'ammiraglio Ruggero di Lauria. Quando però
quest’ultimo passò dalla parte degli angioini, il castello fu messo
sotto assedio dagli aragonesi, che se ne rimpadronirono. A sua
volta, nel 1326, le milizie di Roberto d’Angiò, agli ordini di
Beltrando Del Balzo,
saccheggiarono la Terra d’Aci. Nel castello di Aci, nel 1353, morì
il re Ludovico d'Aragona (aveva appena
17 anni). Sempre
perdurando la guerra dei Novant’anni, l’area fu di nuovo
saccheggiata, stavolta dal generale Acciaioli, nel 1354 e nel 1356.
Quando però il generale Acciaioli cercò di mettere sotto assedio la
vicina Catania, Artale I Alagona lo respinse e contrattaccò. Nella
zona di mare tra il Castello d’Aci ed Ognina (oggi estrema periferia
di Catania), avvenne lo scontro navale tra angioini e aragonesi,
chiamato lo “scacco di Ognina”. Vinsero gli aragonesi, ottenendo
quel vantaggio militare che li favorì nella vittoria finale.
Conclusasi la guerra da poco, il re Martino il Giovane
deliberò, nel 1398,
che la Terra d’Aci
rimanesse “in perpetuo nel regio demanio”, trasformando, poi,
il castello nella sua dimora personale (1402), dove abitò
insieme alla seconda moglie Bianca di Navarra.
Dopo la
sanguinosa guerra del Vespro, il castello passerà di mano varie
volte, ma stavolta non in maniera cruenta. Nel 1421 la Terra d’Aci e
il vicino Bosco d’Aci saranno acquistati per 10.000 fiorini dal
vicerè di Sicilia Ferdinando Velasquez, ritornando così ad essere un
feudo. Al malcontento popolare seguitone, su ordine del re aragonese
Alfonso il Magnanimo, Velasquez concesse la facoltà di creare una
fiera senza alcun dazio, che per questo prenderà il nome di
Fiera Franca. Morto don
Velasquez nel 1434, la zona
d’Aci passò in proprietà dell’infante di Spagna, per poi tornare
nelle mani del re Alfonso , nel 1437. Due anni dopo il castello
unitamente all’Università,
le terre d’Aci, tornarono “in vendita”. Diverse furono le famiglie
della nuova feudalità: i Platamone, i Moncada, ai Requisens e ai
baroni di Mastrantonio. Nel 1528, organizzata una colletta generale,
fu offerta la somma di 20.000 fiorini all’imperatore Carlo V per far
parte di nuovo delle terre demaniali. La richiesta fu accolta nel
1530, con la conferma, tra l’altro, della Fiera Franca.
Verso la fine del XVI secolo, lentamente scomparve l’Università,
poichè il castello fu separato dal resto dei territori, quali
Aquilia nuova e da altri casali cresciuti in popolazione.
Trasformato prima in caserma e poi in prigione, fu venduto da
Filippo IV di
Spagna
al duca Giovanni Andrea Massa. Danneggiato dal
terremoto del 1693 (che distrusse il sud-est della Sicilia), il
castello tornò nel demanio solo in epoca borbonica. Giovanni
Verga, scrittore catanese di corrente verista, alla fine
dell’Ottocento, ambientò nella Terra d’Aci diversi suoi racconti,
come la novella Le storie del Castello di Trezza.
Tra i suoi capolavori I
Malavoglia, ambientato anche nel borgo marinaro di
Aci Trezza.
Restaurato tra 1967 ed il 1969, il castello è oggi visitabile. Al
suo interno trova spazio anche il Museo Civico, un piccolo orto
botanico nel cortile, una cappella (forse d’origine bizantina) e
l’ampia terrazza da cui si domina il golfo di Catania.
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