Naturalmente, lo zolfo non è una scoperta
recente. Già gli antichi ne apprezzavano gli influssi in medicina.
Sappiamo, a livello archeologico, che se ne “estraeva” in miniere a
cielo aperto, come elemento di affioramento. La prima di queste cave
risalirebbe al
200 a.C. Alcuni studiosi
ritengono che le possibili tracce di una miniera di questo tipo,
individuate sul
Monte Castellazzo (in Sicilia),
risalirebbero,
addirittura, al 1600 a.C.
I Romani, oltre che in medicina, lo
utilizzavano militarmente in composti con altri combustibili da
scagliare contro i nemici. Molte sarebbero state, ai loro tempi, le
cave nell’area nisseno-agrigentina. In particolare nella provincia
di quest’ultima (in contrada Puzzu Rosi), è stata
rinvenuta una tavoletta di argilla, riportante una scritta a
rilievo, che indicherebbe la presenza di una cava, di epoca romana
imperiale.
Se
la polvere da sparo fu inventata in Cina, il suo uso bellico
interessò soprattutto le potenze europee. Lo zolfo, infatti, è un
elemento essenziale nella fabbricazione della polvere da sparo.
Attenzione, per i tempi, questa aveva l’importanza dell’uranio
attualmente. Dopo le guerre
napoleoniche, sia l’Inghilterra che la Francia misero gli occhi
proprio sulle abbondanti riserve estrattive della Sicilia. Nel
Settecento, inoltre, l’uso dello zolfo per la produzione industriale
dell'acido solforico e della soda, ambedue richiestissime, portò
all’invenzione del metodo Le Blanc (1787), che incentivò
ulteriormente l’estrazione dello zolfo siciliano. Tra
1828 ed il 1830,
questo riforniva gli opifici di Marsiglia, che nel biennio
produssero oltre 35.000 tonnellate di soda e acido solforico.
Tuttavia, in Sicilia la
vera produzione a livello industriale si ebbe nei primi decenni
dell’Ottocento. Il governo borbonico diede importanza nazionale
all’estrazione del prezioso elemento. Invano, però, i Borboni
cercarono di nazionalizzarlo ed averne l’esclusiva, in quanto lo
zolfo era troppo ambito da Francia e Gran Bretagna. E non fu cosa da
poco. Poiché la concorrenza allo zolfo siciliano era
rappresentata dalla pirite,
ottenuta
nel centro
Italia, i prezzi al mercato variavano eccessivamente. Tanto più che
la pirite era lavorata direttamente in loco. Ferdinando II, per
risolvere la questione, cercando di creare opifici siciliani, nel
1838, diede il monopolio dell’estrazione alla
società
francese Taix & Aycard.
L’accordo contemplava, oltre l’edificazione di fabbriche di
lavorazione, anche la costruzione di 25 km di strade in
Sicilia ogni anno. L’accordo, che creava un monopolio, ovviamente,
non piacque alla Gran Bretagna, che minacciò il sequestro dei
mercantili diretti in
Francia. Nel 1846, così, il contratto con i francesi decadde. La
Sicilia rimase senza sviluppo, senza opifici e le relative strade.
Ciononostante, l’imprenditore siciliano Vincenzo Florio, già
esportatore di Marsala e vini siciliani, non si arrese. Nel 1840,
creò una società italo-inglese, con Benjamin Ingham e
Agostino Porry. L’accordo contemplava la produzione e l’esportazione
di acido solforico e vari derivati del minerale. La gran parte di
questa fu diretta verso i mercati inglesi e statunitensi, a metà
dell’Ottocento.
La stagione dello zolfo in Sicilia non era,
però, finita. Nella seconda metà del XIX secolo, un fungo parassita
attaccò i vigneti di tutta Europa. Unico rimedio: la polvere di
zolfo mista ad acqua. I prezzi risalirono e l’estrazione anche.
Quando a fine secolo i prezzi tornarono a crollare, con la relativa
crisi del settore, solo l’intervento della società di Vincenzo
Florio permise l’accesso al credito, evitandone la chiusura. Furono
apportati miglioramenti e potenziamenti delle strutture minerarie.
Alla fine del secolo XIX,
si contavano oltre 700 miniere in Sicilia, dove lavoravano oltre
30.000 addetti. I numeri, all’inizio del Novecento,
crebbero ulteriormente, raggiungendo i massimi del settore.
Nel 1901, infatti, gli
zolfatari divennero 39.000, con una produzione di 540.000 tonnellate
di zolfo estratto annuo. Purtroppo, dietro l’angolo vi era un
drastico risveglio dal bellissimo sogno. Nella prima metà del secolo
scorso, gli americani inventarono il metodo Frasch, che li
metteva in condizione di estrarre il minerale a costo molto basso.
Non essendo da noi applicabile, le leggi del mercato e della
concorrenza fermarono il miracolo siciliano. Nella prima guerra
mondiale, molti furono i morti tra gli zolfatari chiamati al fronte.
Al ritorno li attendeva un mestiere già in crisi. Il fascismo tentò
di risollevare il settore creando, nel 1927 a Roma, l'Ente
Nazionale Zolfi Italiani. In sostanza, demanializzò il
sottosuolo minerario italiano. Non ottenne, però, grandi risultati.
Dopo una piccola ripresa al termine della seconda guerra
mondiale, negli anni cinquanta il bel sogno delle zolfare siciliane
si concluse. I bassi costi dello zolfo americano, anche se
parzialmente attenuati da provvedimenti nazionali e regionali (fu
creato appositamente l'Ente Minerario Siciliano), intaccarono
seriamente questa nostra industria dello zolfo. Nonostante il
“protezionismo” adottato, quando i mercati furono liberalizzati nel
1975, il crollo fu verticale. Oggi non vi sono zolfare in attività.
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