Abbiamo visto quanti e tali
appetiti interessavano l’estrazione dello zolfo siciliano. Questo,
all’inizio dell’Ottocento, si presentava molto conveniente, sia per
la sua estrazione, che per i suoi costi bassi di produzione e
offerta sul mercato. Un primo riassestamento si ebbe dopo la
vittoria su Napoleone e la Restaurazione francese. Il governo
borbonico stipulò una serie di trattati con le nuove potenze: con la
Gran Bretagna, nel 1816, con la Francia, lo stesso anno, e la
Spagna, l’anno seguente. I nuovi trattati abolivano i precedenti
basati su diritti di bandiera, trasformandoli in trattati
commerciali veri e propri, con il restaurato Regno delle Due Sicilie.
Il parlamento della Gran Bretagna ratificò velocemente i nuovi
accordi, nello stesso 1816, forte del fatto che già molte aziende
britanniche operavano sulle miniere ed altri settori della Sicilia.
In ogni caso, nessuno poteva prevedere l’incremento incredibile
della domanda di Zolfo. Il forte sviluppo dell’industria tessile
inglese, ma anche francese, comportò l’aumento della richiesta di
acido solforico e quindi di zolfo estratto in Sicilia. Oltretutto,
la relativa crescita industriale isolana (nel 1833 la produzione
triplicò) provocò il dimezzamento del prezzo di vendita, non essendo
la richiesta aumentata parallelamente.
Il governo borbonico
cercò di adottare una politica protezionista per lo zolfo. La Gran
Bretagna chiese allora di raggiungere un accordo bilaterale, che
prevedesse le misure originarie, ma con l’aggiunta di un piccolo
dazio del 10 %. Nel dicembre 1837, approfittando delle trattative
ancora in corso, la società francese Taix & Aycard, propose
un proprio accordo commerciale: l’acquisto di 600.000 cantari
l'anno, con l’aggiunta di un piccolo dazio per la mancata estrazione
degli altri 300.000 cantari non estratti (una specie di indennizzo).
La proposta, infatti, prevedeva l’esclusiva, tagliando fuori,
quindi, ogni altra
concorrenza. Il regime di monopolio, permetteva di fissare un prezzo
più alto di quello sul mercato (almeno il triplo), più una tassa per
l’esportazione. La società francese esclusivista, guadagnava
congruamente, lo stato napoletano pure. L’accordo, perciò, fu
velocemente siglato nel maggio 1838. In pratica, la società francese
Taix & Aycard, si
configurava come semplice intermediaria tra il produttore ed il
consumatore, ma con un guadagno garantito sull'operazione.
Verso una guerra
L’allegra operazione commerciale non teneva in conto
che tra i “consumatori” ci sarebbero state nazioni intere. Sia la
Gran Bretagna, sia la stessa Francia, si lamentarono con i Borboni.
In quel periodo si occupava
della politica
estera britannica, Lord Palmerston, un interventista dal gioco duro.
Per fare degli esempi, le sue decisioni portarono alla prima guerra
dell'oppio e all’intervento militare nell’area del Levante (nel
1840). Egli, quindi, minacciò il governo delle Due Sicilie, che
aveva stracciato gli accordi del 1816, di sequestrare con la marina
militare britannica le navi napoletane che effettuassero
l’esportazione dello zolfo fuori dalla Sicilia. Diversi erano
gli interessi e diverse le visioni economiche. Gli inglesi erano
liberisti, mentre i napoletani erano protezionisti. Ne va da sé che
gli interessi delle aziende britanniche, gli investimenti effettuati
localmente e la libera circolazione delle merci, cozzavano con
l’ottica opposta dei napoletani. E non solo sul problema dello
zolfo, ma anche di altre attività commerciali in atto in quel
periodo. Per dimostrare a Ferdinando II il livello della propria
volontà, Lord Palmerston inviò nel Tirreno una propria squadra
navale. Alcune navi mercantili borboniche furono scortate di
prepotenza verso Malta. Parallelamente l’ambasciatore inglese a
Napoli fu informato segretamente della cosa. Questo si desume solo
da documenti borbonici, in quanto i giornali britannici non fecero
alcuna menzione dell’atto militare. Certo, la dimostrazione di forza
serviva come avvertimento e non come atto di guerra. In ogni caso,
la cosa non piacque a Ferdinando II, che, per ritorsione, diede
l’ordine di bloccare ogni bastimento inglese che si trovasse
nelle acque del suo Regno. Si era proprio ai ferri corti,
quando intervenne come pacificatore la stessa Francia. Accettata
dalle due parti, la mediazione portò, come primo atto di buona
volontà, al rilascio di alcuni pescherecci. Nello stesso anno, fu
rescisso l’accordo con la società privata francese. Al governo
borbonico non rimase che pagare un contributo alla Gran Bretagna e
alla stessa Francia, per l’aumento del prezzo dello zolfo, e, come
ciliegina sulla torta, un rimborso alla società francese per il
mancato introito previsto dal contratto.
Alcuni studiosi avanzano l’ipotesi, sulla base degli
avvenimenti, di un possibile accordo segreto tra le due superpotenze
europee.
Poiché, nel 1841, Lord Palmerston uscì dal governo
britannico, il rapporto tra Borboni e corona britannica tornò a
migliorare. Nel 1845, si arrivò, addirittura, alla firma di un nuovo
trattato commerciale tra le due parti. Il nuovo accordo presentava
l’inusuale concetto di reciprocità. La Gran Bretagna guadagnava la
libertà di commercio e di navigazione, mentre il regno delle Due
Sicilie otteneva l'esclusiva sul commercio di limitato cabotaggio.
La particolare modalità dell’accordo, fu riproposta in negoziati
simili con Francia e Russia. In ogni caso il governo borbonico
rimase di stampo protezionista. L’attività estrattiva nel breve
periodo di monopolio non ne guadagnò, anzi, il contrario. La piccola
stagnazione registrata fece ridurre estrazioni, esportazioni e
occupazione. Quando il momento storico cessò, sul mercato si era già
profilata la concorrenza dello zolfo islandese e delle Indie
Occidentali. Il futuro era ancora favorevole, ma non come prima.
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