Tra
le pietanze palermitane, tipiche del cibo da strada, vi è
'U pani câ meusa, che in
siciliano sta per "il
pane con la milza".
E’ una specie di panino con all’interno milza o polmone di vitello,
tagliati in piccoli pezzi. Essendo palermitano, il pane da usare è
rigidamente una vastella (o vastedda),
cioè, una pagnotta morbida (che va dai 500 grammi ai 1500
grammi), spolverata superiormente di semi di sesamo. I pezzetti di
milza e polmone vanno prima bolliti, e poi fritti nella sugna (dello
strutto), al momento della vendita, caldi. Come caldo dev’essere il
pane, conservato appositamente sotto una coperta. I pezzi di
interiora vanno ben scolati, ed il panino si offre all’acquirente
fornito di carta da pane, che assorbe l’ulteriore grasso in eccesso.
A Gratteri, sempre in provincia di Palermo, viene fatta la
Vastedda fritta, una
specialità locale, tanto che, ogni 15 agosto, vi si svolge
una sagra ad essa dedicata. Col termine “vastedda”, in Sicilia, si
indica una forma specifica (una piccola forma rotonda), tanto che
esistono formaggi siciliani con uguale nome, proprio a causa della
loro forma a “vastedda”.
La vastella con la “meusa”,
come per gli arancini, può essere pieno anche di caciocavallo, a
fette o grattuggiato o ricotta fresca. In tal caso, va ordinato un
panino maritatu (sposato), altrimenti, se si
preferisce la versione originale, bisogna chiedere un panino
schettu (celibe). I
venditori di pane con la meusa, il meusaru,
oltre ad avere una propria abilità, utilizzano degli strumenti
specifici. Fanno parte dell’attrezzatura, ad esempio, una
pentola inclinata, verso l'interno, dove tenere calda la sugna, e
una speciale forchetta a due denti, per prendere i pezzetti di
milza, senza scottarsi. I meusarisi
incontrano spesso nei
mercati rionali, essendo ambulanti, ed, in particolare, in quello
della Vucciria (il mercato palermitano più antico).
Questa tradizione gastronomica, normalmente, si fa risalire al
medioevo. Sembrerebbe che gli ebrei, che lavoravano nei macelli
palermitani, non potendo riscuotere denaro, venivano “pagati” con le
interiora, scarto della macellazione. Il guadagno, dunque, lo
realizzavano, aggiungendo la milza ed il polmone in normali panini
al formaggio. Dopo la cacciata dall’isola degli ebrei, voluta da
Ferdinando II di Aragona (detto il Cattolico), il loro posto venne
preso dai venditori di caciocavallo. Questa “leggenda” si basa
principalmente su un dato di fatto: il popolo non si poteva
permettere la carne, come invece la classe nobiliare. I poveri,
quindi, inventarono nuove ricette legate all’uso degli scarti, in
qualsiasi campo, come le interiora animali (anche del pesce).
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