10/12

La cucina di strada nella tradizione siciliana

Dalla strada al fast food
Per le vie di Palermo
Le tante "pizze" siciliane

Gli arancini
Fritti e friggitorie
Le focacce: la scàccia
Le focacce: la scacciata
Tra pizzerie e rosticcerie
La cucina povera tradizionale
Il pane con la meusa
La càlia e la simenza

Video sulla Cucina di strada
INDIETRO
 
     
     
         
     LA CUCINA DI STRADA
    

        Rosticcerie, friggitorie, pizzolerie,
    tutte attingono dalla cucina di strada
    della tradizione, molto viva a Palermo.
    Scopriamo questa cucina popolare
    alternativa in Sicilia.

   

    Il pane con la meusa

     
     

 

 

Pani ca meusa (panino con la milza palermitano), tipico cibo da strada

Franco Pecchio -
Foto da Wikimedia Commons

 



 Tra le pietanze palermitane, tipiche del cibo da strada, vi è 'U pani câ meusa, che in siciliano sta per "il pane con la milza". E’ una specie di panino con all’interno milza o polmone di vitello, tagliati in piccoli pezzi. Essendo palermitano, il pane da usare è rigidamente una vastella (o vastedda), cioè, una pagnotta morbida (che va dai 500 grammi ai 1500 grammi), spolverata superiormente di semi di sesamo. I pezzetti di milza e polmone vanno prima bolliti, e poi fritti nella sugna (dello strutto), al momento della vendita, caldi. Come caldo dev’essere il pane, conservato appositamente sotto una coperta. I pezzi di interiora vanno ben scolati, ed il panino si offre all’acquirente fornito di carta da pane, che assorbe l’ulteriore grasso in eccesso.

A Gratteri, sempre in provincia di Palermo, viene fatta la Vastedda fritta, una specialità locale, tanto che, ogni 15 agosto, vi si svolge una sagra ad essa dedicata. Col termine “vastedda”, in Sicilia, si indica una forma specifica (una piccola forma rotonda), tanto che esistono formaggi siciliani con uguale nome, proprio a causa della loro forma a “vastedda”.

La vastella con la “meusa”, come per gli arancini, può essere pieno anche di caciocavallo, a fette o grattuggiato o ricotta fresca. In tal caso, va ordinato un panino maritatu (sposato), altrimenti, se si preferisce la versione originale, bisogna chiedere un panino schettu (celibe).
I venditori di pane con la meusa, il
meusaru, oltre ad avere una propria abilità, utilizzano degli strumenti specifici. Fanno parte dell’attrezzatura, ad esempio, una pentola inclinata, verso l'interno, dove tenere calda la sugna, e una speciale forchetta a due denti, per prendere i pezzetti di milza, senza scottarsi. I meusarisi incontrano spesso nei mercati rionali, essendo ambulanti, ed, in particolare, in quello della Vucciria (il mercato palermitano più antico).

Questa tradizione gastronomica, normalmente, si fa risalire al medioevo. Sembrerebbe che gli ebrei, che lavoravano nei macelli palermitani, non potendo riscuotere denaro, venivano “pagati” con le interiora, scarto della macellazione. Il guadagno, dunque, lo realizzavano, aggiungendo la milza ed il polmone in normali panini al formaggio. Dopo la cacciata dall’isola degli ebrei, voluta da Ferdinando II di Aragona (detto il Cattolico), il loro posto venne preso dai venditori di caciocavallo. Questa “leggenda” si basa principalmente su un dato di fatto: il popolo non si poteva permettere la carne, come invece la classe nobiliare. I poveri, quindi, inventarono nuove ricette legate all’uso degli scarti, in qualsiasi campo, come le interiora animali (anche del pesce).

 
 

HOME