Il
primo feudatario di Carini, il guerriero
normanno
Rodolfo Bonello, arrivato al seguito del re Ruggero
I, fece costruire il castello sulla base di una fortificazione
d’epoca araba. Nel 1283, passò di proprietà alla famiglia degli
Abate, che gli diede l’uso di residenza. Tuttavia, essendosi essi
alleati con i Chiaramonte nella controversia sulla corona, furono
privati di tutti i beni compreso il castello. Nel 1397, il nuovo
re Martino I assegnò la costruzione e l’intera Terra di Carini a
Ubertino La Grua, militare palermitano, per i servigi resi. Non
avendo esso una progenie maschile, al matrimonio della figlia con lo
spagnolo
Gilberto Talamanca, la famiglia fu ribattezzata in
La Grua Talamanca. La casata tenne il castello e la baronia fino al
1812. Dalla metà del Quattrocento il castello fu varie volte
rimaneggiato, sia come architettura sia come uso, fino a
trasformarsi in “palazzo” per la dimora estiva. Oltre ad elementi
arabi, osservabili nella seconda porta del Castello, un elemento
caratterizzante, a dimostrazione dei passaggi di proprietà e delle
alleanze politiche, sono i diversi stemmi presenti sulla
costruzione, non solo dei La Grua, ma anche degli Abbate, dei
Chiaramonte e dei Lanza (quest’ultimo nel piano superiore).
Essendo stato costruito in epoca normanna, tutte le mura difensive
che lo circondano risalgono
all’XI-XII secolo. Al piano terreno l’edificio presenta diverse sale
con volta a crociera, a volte rinforzata da una colonna centrale.
Notevole è la cappella presente sul lato est del castello.
Affrescata con un Trompe l'oeil, essa contiene una statua marmorea
della Madonna di Trapani, un tabernacolo ligneo e un matroneo,
anch’esso in legno. Sempre al piano terreno è interessante una
stanza senza pavimento, che permette di intravedere le fondazioni di
costruzioni più antiche.
Al piano superiore sul tato
quattrocentesco, a sud-ovest, si possono ammirare diversi portali
marmorei con effigie di fenici che rinascono con varie iscrizioni.
Si presuppone che essi vennero realizzati quando l’architetto Matteo
Carnalivari eseguì la trasformazione da caserma a residenza privata.
Nella stessa area è situato il Salone delle feste che presenta un
bellissimo soffitto cassettonato in legno e un camino istoriato in
pietra. Probabilmente il soffitto fu realizzato quando la famiglia
La Grua Talamanca si imparentò con la famiglia Ajutamicristo, che ha
un cassettonato simile nella propria residenza di Palermo.
Storicamente il Castello viene associato alla memoria della famosa
“Signora di Carini”,
Laura Lanza di Trabia, moglie del barone don Vincenzo La Grua -
Talamanca. Questa e il suo ipotetico amante, Ludovico
Vernagallo, vennero uccisi dal barone per motivi d’onore
il 4 dicembre 1563.
Il processo che ne scaturì (di cui rimane traccia storica negli
archivi storici della Chiesa Madre di Carini) vide
l’assoluzione del barone, secondo le leggi vigenti allora. Non solo:
l’anno dopo ottenne il titolo di Conte di Mussomeli. Nonostante che
il fatto e il processo vennero svolti senza grandi clamori e con
molta riservatezza (i diaristi del tempo furono messi a tacere),
data l’importanza della famiglia,
qualcosa trapelò. Dell’amore e dell’assassinio iniziarono a
narrare i cantastorie girovaghi, rimanendo nella tradizione orale
popolare. Questo fino a quando lo studioso Salvatore Salomone
Marino, verso la metà dell’Ottocento, studiò e ricostruì la reale
vicenda storica. Naturalmente non poteva mancare la leggenda che
narra come, nell’anniversario della sua uccisioni, appaia sul muro
della stanza dove avvenne il fatto l’impronta insanguinata della
mano della baronessa.
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