Le
origini del comune di Ispica si perdono, decisamente, nella
leggenda. La più antica narra che l’apostolo Paolo abbia visitato la
zona. Per sua volontà scaturì miracolosamente una fonte, che
uccideva i serpenti. Un’altra del periodo arabo (dal
IX all'XI secolo), racconta della mitica magha sarachina
fondatrice di un centro abitato, forse Ispica. Pare volle essere
sepolta nello stesso, tramandando agli abitanti le sue qualità e
poteri (per diversi secoli). Nella realtà storica, si ha notizia,
per la prima volta, del centro di Spaccaforno con la bolla papale
del
1093,
redatta da papa Urbano II, al termine della dominazione araba,
avvenuta con la conquista della Sicilia da parte di Ruggero il
Normanno. Il nome utilizzato nel documento sarebbe
Isbacha.
Nel
XIV secolo, il piccolo centro era di proprietà
del viceconte Berengario di Monterosso, che, essendo già tesoriere
del regno, per
ingraziarsi ulteriormente i regnanti, ne fece dono alla regina
Eleonora d'Angiò, moglie del re Federico III. Indi la storia
medievale del piccolo feudo segue un po’ quella di tutti i feudi
siciliani. Donata e ripresa dal re, tra ribellioni e
riappropriazioni, il feudo passò di mano in mano, a nomi importanti
e altolocati (Chiaramonte o Cabrera) o a persone molto più semplici.
Ad esempio, Guglielmo duca di
Atene, fratello di
Pietro II, la lasciò in eredità al suo maggiordomo Manfredi
Lancia. La proprietà si
stabilizzò solo
nel 1493, quando il feudo fu portato in dote da Isabella
Caruso, figlia di Antonio Caruso di Noto, al marito
Francesco II
Statella, i cui successori ed eredi mantennero la proprietà
fino alla fatidica abolizione della feudalità, avvenuta in Sicilia
agli inizi dell’Ottocento.
L’intera storia
della Val di Noto si ferma alle ore 13,30 dell’11
gennaio 1693. Un terribile terremoto, di intensità pari a 7,4
della scala
Richter (del X grado della scala Mercalli),
spazza via tutte le costruzioni dell’area, con la perdita di
moltissime vite umane (60.000 vittime).
Fu un terremoto tra i maggiori mai avvenuti in Italia. L’ampia area
interessata (circa 5600 km2) portò alla completa distruzione
di 45 centri abitati, ma interessò, seppure parzialmente, moltissimi
altri comuni limitrofi. Inoltre, il terremoto portò oltre la
distruzione, anche fame e malattie, tanto che si scatenò un’epidemia
di peste. Il terremoto non solo rase al suolo l’abitato di Ispica,
ma interessò tutta la Cava Ispica. Crollarono moltissime grotte e
chiese, ma anche il Fortilitium, che era il castello
di proprietà della
famiglia Statella. Da questo momento la valle non fu più abitata.
Ciononostante, i pochi sopravvissuti nella Val di Noto ebbero il
coraggio e la forza per operare la ricostruzione dell’intera Valle.
Questo grazie anche all’impegno e alla generosità dei nobili locali
e dall'aiuto di persone provenienti dai comuni limitrofi e
siciliani, in genere.
All’indomani del terremoto, don Blasco
Maria Statella portò sul posto due ingegneri palermitani per dare
avvio alla ricostruzione. Il nuovo abitato di Ispica (allora
Spaccaforno) venne, come in molti altri casi, trasferito dalla
località precedente alla zona pianeggiante più a sud della Cava d’Ispica.
I nuovi quartieri rinacquero intorno alle chiese precedenti, non
eccessivamente danneggiate, come le chiese di Sant’Antonio e del
Carmine, dando vita ad un’area con tracciati irregolari (sul tipo di
un impianto medievale), oppure in aree libere, seguendo un tracciato
geometrico regolare, con vie ampie e assolutamente dritte. L’area
“medievale” è vicina alla rupe dove si trovano i ruderi del
fortilitium e
dell'antica Spaccaforno.
L’architettura utilizzata fu il famoso barocco siciliano, che
eresse capolavori anche ad Ispica, quali la chiesa di Santa Maria
Maggiore, la Chiesa di San Bartolomeo e la chiesa della S.S.
Annunziata. Molto dopo, il
grande architetto
liberty Ernesto Basile edificò in città Palazzo Bruno e
Palazzo Bruno di Belmonte.
Unitamente a
Mazzarino e Acireale, il comune di Ispica ha richiesto di
essere inserita tra le Città tardo barocche del Val di Noto.
Dopo la ricostruzione, Ispica, amministrativamente,
fu inserita nel
distretto di Modica e nella provincia di Siracusa (nel 1812). Nel
1927,
passò alla nuova provincia di Ragusa. Nel 1934, fu avviata, su
richiesta del Podestà Dott. Dionisio Moltisanti, la procedura per
il cambiamento del nome della cittadina, da Spaccaforno in Ispica.
Il documento era avvallato dal Preside dell'Università di Catania,
prof. Gaetano Curcio. La richiesta fu accolta ed entrò in
vigore il 21
giugno del 1936.
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