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Cava d'Ispica, la Storia in un canyon 

Cava d'Ispica, gioiello incontaminato
L'incredibile isolamento storico
Necropoli e catacombe nella Cava
Cristiani e bizantini
Le chiese rupestri
Altre vestigia cristiane
Il castello ed il palazzo
ISPICA
Ispica, Bandiera Blu
Da Spaccaforno ad Ispica
Le Chiese barocche della ricostruzione
Palazzo Bruno di Belmonte
Le aree naturali costiere
Ispica verista

Video su Ispica
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CAVA ISPICA    

        Cava d’Ispica è una vallata fluviale
    ricca di testimonianze storiche di
    millenni, oltre che una zona
    incontaminata, ricoperta da florida
    macchia mediterranea. Ma per le
    aree naturali che contiene, tutto il
    comune di Ispica è
una grande oasi
    intatta. Tutta da esplorare.

   

    Da Spaccaforno ad Ispica

     
     

 

 

Stemma della famiglia Statella sul portone d'ingresso della chiesa madre

Cypher84 -  
Foto da Wikimedia Commons

 





 Le origini del comune di Ispica si perdono, decisamente, nella leggenda. La più antica narra che l’apostolo Paolo abbia visitato la zona. Per sua volontà scaturì miracolosamente una fonte, che uccideva i serpenti. Un’altra del periodo arabo (dal IX all'XI secolo), racconta della mitica magha sarachina fondatrice di un centro abitato, forse Ispica. Pare volle essere sepolta nello stesso, tramandando agli abitanti le sue qualità e poteri (per diversi secoli).
Nella realtà storica, si ha notizia, per la prima volta, del centro di Spaccaforno con la bolla papale del
1093, redatta da papa Urbano II, al termine della dominazione araba, avvenuta con la conquista della Sicilia da parte di Ruggero il Normanno. Il nome utilizzato nel documento sarebbe Isbacha.
Nel XIV secolo, il piccolo centro era di proprietà del viceconte Berengario di Monterosso, che, essendo già tesoriere del regno, per ingraziarsi ulteriormente i regnanti, ne fece dono alla regina Eleonora d'Angiò, moglie del re Federico III.
Indi la storia medievale del piccolo feudo segue un po’ quella di tutti i feudi siciliani. Donata e ripresa dal re, tra ribellioni e riappropriazioni, il feudo passò di mano in mano, a nomi importanti e altolocati (Chiaramonte o Cabrera) o a persone molto più semplici. Ad esempio,
Guglielmo duca di Atene, fratello di Pietro II, la lasciò in eredità al suo maggiordomo Manfredi Lancia. La proprietà si stabilizzò solo nel 1493, quando il feudo fu portato in dote da Isabella Caruso, figlia di Antonio Caruso di Noto, al marito Francesco II Statella, i cui successori ed eredi mantennero la proprietà fino alla fatidica abolizione della feudalità, avvenuta in Sicilia agli inizi dell’Ottocento.

L’intera storia della Val di Noto si ferma alle ore 13,30 dell’11 gennaio 1693. Un terribile terremoto, di intensità pari a 7,4 della scala Richter (del X grado della scala Mercalli), spazza via tutte le costruzioni dell’area, con la perdita di moltissime vite umane (60.000 vittime). Fu un terremoto tra i maggiori mai avvenuti in Italia. L’ampia area interessata (circa 5600 km2) portò alla completa distruzione di 45 centri abitati, ma interessò, seppure parzialmente, moltissimi altri comuni limitrofi. Inoltre, il terremoto portò oltre la distruzione, anche fame e malattie, tanto che si scatenò un’epidemia di peste.
Il terremoto non solo rase al suolo l’abitato di Ispica, ma interessò tutta la Cava Ispica. Crollarono moltissime grotte e chiese, ma anche il Fortilitium, che era il castello di proprietà della famiglia Statella. Da questo momento la valle non fu più abitata.
Ciononostante, i pochi sopravvissuti nella Val di Noto ebbero il coraggio e la forza per operare la ricostruzione dell’intera Valle. Questo grazie anche all’impegno e alla generosità dei nobili locali e d
all'aiuto di persone provenienti dai comuni limitrofi e siciliani, in genere.

All’indomani del terremoto, don Blasco Maria Statella portò sul posto due ingegneri palermitani per dare avvio alla ricostruzione. Il nuovo abitato di Ispica (allora Spaccaforno) venne, come in molti altri casi, trasferito dalla località precedente alla zona pianeggiante più a sud della Cava d’Ispica. I nuovi quartieri rinacquero intorno alle chiese precedenti, non eccessivamente danneggiate, come le chiese di Sant’Antonio e del Carmine, dando vita ad un’area con tracciati irregolari (sul tipo di un impianto medievale), oppure in aree libere, seguendo un tracciato geometrico regolare, con vie ampie e assolutamente dritte. L’area “medievale” è vicina alla rupe dove si trovano i ruderi del fortilitium e dell'antica Spaccaforno.
L’architettura utilizzata fu il famoso barocco siciliano, che eresse capolavori anche ad Ispica, quali la chiesa di Santa Maria Maggiore, la Chiesa di San Bartolomeo e la chiesa della S.S. Annunziata. Molto dopo, il grande architetto liberty Ernesto Basile edificò in città Palazzo Bruno e Palazzo Bruno di Belmonte.
Unitamente a Mazzarino e Acireale, il comune di Ispica ha richiesto di essere inserita tra le Città tardo barocche del Val di Noto.

Dopo la ricostruzione, Ispica, amministrativamente, fu inserita nel distretto di Modica e nella provincia di Siracusa (nel 1812). Nel
1927, passò alla nuova provincia di Ragusa.
Nel 1934, fu avviata, su richiesta del Podestà Dott. Dionisio Moltisan­ti, la procedura per il cambiamento del nome della cittadina, da Spaccaforno in Ispica. Il documento era avvallato dal Preside dell'Università di Catania,
prof. Gaetano Curcio. La richiesta fu accolta ed entrò in vigore il 21 giugno del 1936.

 
 

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