Durante le dominazioni dei Vandali, dei Bizantini e degli Arabi,
l’unica cosa che cambiò furono i nomi. Gli attuali nomi a tante
contrade dell'Agro Ericino derivano da queste egemonie. Quindi, non
solo la situazione di abbandono della cottadina non mutò, ma,
addirittura, si perde nei documenti del tempo traccia di Erice,
probabilmente inglobata in altri comuni.
Erice, ad esempio, dopo l’invasione araba dell'831, fu chiamata
Gebel Hamed. Il comune
riacquistò parte della perduta importanza solo nel XII secolo. In
periodo normanno l'abitato si sviluppò attorno al castello costruito
nell'area dell'antico santuario. Furono ristrutturate le antiche
porte di età elimo-punica e vennero aperte nelle mura altre
tre porte (Trapani,Carmine e Spada). La nuova cittadella
venne ribattezzata dai normanni, nel 1167, Monte San Giuliano
(sempre San Giuliano divenne il nuovo protettore del paese),
acquisendo oltre le strutture difensive anche nuovi edifici civili e
religiosi. Questa denominazione fu
mantenuta fino al
1936. Anche sotto gli Svevi, Erice venne arricchendosi di nuovi
territori, fino a raggiungere il feudo di Scopello (vicino
Castellammare del Golfo). Si susseguirono, in seguito, le sovranità
angioina ed aragonese. Durante la guerra del Vespro tra esse, Erice
accolse Re Federico III, durante l’assedio dal mare angioino di
Trapani, condotto da Roberto d'Angio. Con la sconfitta alla
Falconara dei francesi (i cui comandanti furono segregati
nel castello ericino), il re
aragonese premiò Erice con la costruzione della Chiesa Madre.
In epoca spagnola si ebbe, tuttavia, una rivolta popolare assai
feroce.
Continuò (dal sec. XV al XVIII) il periodo prospero per l’area.
Durante il Settecento, non essendo gran che popolato il territorio a
valle, a causa del pericolo di colpi pirateschi, il nucleo storico
di Erice era molto abitato (circa 8000 persone). Nelle zone
pianeggianti, la produzione agricola e degli armenti era fonte di
grande ricchezza per il centro. Tra le colture agricole
predominanti, vi erano:
frumento e cereali, gli oliveti, vigneti e sommaccheti, oltre che
orti e giardini. Oltre che dai frutti della terra, anche sotto il
profilo finanziario le cose non andavano male. Il benessere
economico permise l’edificazione di nuove chiese o l’ampliamento di
quelle esistenti, lo sviluppo delle attività artigianali, la
presenza di clero e professionisti. Aumentarono anche le festività e
la loro ricchezza, che permisero una maggiore aggregazione sociale.
Con la riforma amministrativa del nuovo Regno delle Due Sicilie
(1816) che abolì l'antico ordinamento feudale, e la creazione di uno
Stato moderno a potere centralizzato, Erice iniziò un lento declino:
tutti gli antichi privilegi cessarono e la cittadina venne
declassata al ruolo di capocircondario di seconda classe. Nel XX
secolo il suo grande territorio fu lentamente smembrato. La prima
frazione divenuta comune autonomo fu Custonaci, nel 1948. Ad essa
seguirono Buseto Palizzolo nel 1950, San Vito Lo Capo nel 1952 ed,
in ultimo, Valderice (Paparella-San Marco) nel 1955. Oggi Erice è
un centro turistico, climatico e residenziale, che vanta, come sua
perla, il Centro «Ettore Majorana», che fa della città ericina un
polo di cultura di importanza internazionale.
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