Il termine mummia deriva dal latino medievale
mumia, che a sua volta
deriva dal termine arabo che significa
bitume. Questo perché le mummie egizie (senza bende), hanno il
tipico colore nerastro, e sia sul fatto che il bitume rientrava tra
i composti propri dell’imbalsamazione. La mummificazione può
essere di due tipi: naturale o artificiale. Le mummie egiziane, ad
esempio, sono di tipo artificiale o rituale, mentre quelle siciliane
sono di tipo naturale. Le
tecniche di mummificazione sono proprie nella storia a quasi tutte
le civiltà. Quando però si parla di mummie si pensa subito a quelle
egizie, che sono le più famose, anche perché la mummificazione in
Egitto divenne una specie di arte e perché essa faceva parte di una
concezione della morte fondamentale di quella cultura. All’inizio in
Egitto si mummificavano solo i faraoni, ma la tecnica, con lo
sviluppo storico, fu utilizzata, anche (oltre che per animali sacri)
dai nobili e dai ricchi in genere.
Nonostante quello che si
crede, le prime mummie della civiltà egizia sono di tipo naturale.
La più antica ritrovata, risalente al
XXXIV secolo a.C.,
conservata ora al British Museum di Londra, fu deposta direttamente
nella sabbia, senza piramidi o grandi tombe, e preservata dalle iene
con un cumulo di pietre. Insieme al corpo vi era il vasellame
contenente cibo e bevande per il viaggio dopo la morte negli inferi.
Il caldo torrido del deserto ha prodotto una mummia di tipo
naturale. Successivamente, al tempo della I dinastia, i cadaveri,
privati delle interiora e semplicemente fasciati di bende, venivano
deposti in una o più casse di legno. Ancora, però, non vi era nulla
di estetico: le casse non erano decorate e non vi era nessuna
rappresentazione artistica del defunto. Conosciamo l’evoluzione
egiziana, i suoi capolavori e la grande maestosità delle sue tombe e
piramidi, manufatti e costruzioni che giravano intorno alla mummia
del defunto faraone. La pratica della mummificazione continuò per
tutta la durata della civiltà egizia. Tra le ultime mummie, da essa
prodotte, che possediamo, quelle più recenti risalgono all'inizio
dell'era cristiana.
Il processo di mummificazione.
La pratica della mummificazione era in Egitto troppo importante per
essere lasciata in mano a dilettanti improvvisati. In effetti, essa
era svolta da specialisti con
conoscenze di anatomia umana e chimica e dei precisi rituali
religiosi. Essi lavoravano in laboratori attrezzatissimi, vicino al
Nilo, con abbondanza di acqua, necessaria ai continui lavaggi del
cadavere. L’imbalsamazione richiedeva circa 70 giorni di tempo,
che permettevano, alla morte del faraone, il completamento della sua
tomba. Ciononostante, la pratica, nel gran caldo dell’Egitto,
necessitava d’essere condotta rapidamente, per non correre il
rischio che il cadavere iniziasse la naturale decomposizione. La
prima fase era l’asportazione degli organi interni, che erano i più
corruttibili. Cervello,
polmoni, stomaco ed
intestini
venivano estratti e posti nei vasi canopi (da Canopo, una città sul delta del Nilo),
posti, durante il rito funebre, accanto al faraone. Quando si
diffuse la pratica di mummificare anche gli organi interni, inseriti
di nuovo nella mummia, i vasi canopi, anche se vuoti, continuarono
ad essergli posti accanto. Unico organo interno a non essere toccato
era il cuore, ritenuto sede dell’anima.
Il cuore, cioè l’anima, subiva la pesatura con una piuma da
parte del dio
Anubi,
per accertare la
"leggerezza dell'anima", simbolo di giustizia. Se il cuore risultava
più leggero era assicurata la vita eterna, altrimenti sarebbe stato
divorato dal mostro
Ammit detta la "Divoratrice", cioè la morte eterna del
faraone. La seconda fase prevedeva la “disidratazione”, cioè un
bagno di 40 giorni del corpo svuotato nel natron,
un sale di sodio
esistente in natura. Successivamente veniva lavato con vino di
palma. L’alcol, in esso contenuto, impediva la formazione dei
batteri
decompositori. Pochi sanno che le mummie egizie venivano, in
seguito, riempite di bende bagnate di natron, pezzi di lino e
segatura. Veniva lavato ancora con natron e unguenti balsamici.
Al termine di questa fase, si ricopriva il taglio addominale, che
era stato necessario per l’estrazione degli organi, con una placca
metallica, soprannominata l'occhio di Horo. Seguiva, come ultimo
passaggio, la fasciatura del corpo con strisce di tela di lino,
bagnato da resine. L’operazione era tutt’altro che facile, sia per
la durata della mummia, che, se vogliamo, l’aspetto estetico. Sulle
bende vi erano scritte formule magiche e, tra esse, inseriti amuleti
portafortuna, come l'Ankh,
gli scarabei e il pilastro Djed. Naturalmente il rito
funebre e la sepoltura erano determinate dall’importanza del morto:
una cosa era un faraone, un’altra un defunto di basso livello
sociale. Basti pensare all’enorme e prezioso
corredo funebre del faraone
Tutankhamon,
ritrovato nella sua tomba, scoperta
praticamente intatta.
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