Come capita, purtroppo, spesso in Italia, bisogna
fare i conti con dei “mostruosi geni” dell’arte. La notte fra il 7 e
l’8 febbraio dei vandali si introdussero all’interno della cripta
della Chiesa, dedicata
a San
Francesco d'Assisi, del Convento dei Cappuccini di Savoca. Quindici
delle 17 mummie contenute nelle nicchie, vennero imbrattate di un
colore ad olio verde, sia sulle mummie stesse, mani e volti, sia sui
loro vestiti. Si verificò un danno, mai perpetrato prima, dalla
difficile soluzione. L’etno-antropologo Mario Sergio Todesco (oggi
direttore del Museo Silvo-pastorale di Mistretta), propose un
intervento di restauro alla Sezione per i Beni Etno-antropologici
della Sopraintendenza di Messina. Una delle mummie di Savoca era
considerata, all’epoca, un
Bene Culturale anomalo. Bisognava, come scrive lo stesso Todesco
, far passare nel valore
un simile bene culturale, legato alla vita e alla cultura umana
della Sicilia dell’Ottocento. La proposta fu accettata. Al
restauro fu interessato il Dipartimento di Scienze Antropologiche
Archeologiche e Storico-territoriali dell’Università di Torino,
nella persona del prof. Renato Grilletto, antropologo fisico,
consulente del Museo di Arte Egizia della città. L’intervento, come
attestato dallo stesso professore, era, per le sue caratteristiche
del tutto innovativo. Qualcosa del genere era stato tentato soltanto
dalla locale Soprintendenza su alcuni corpi mummificati di nobili
aragonesi, contenuti nella Chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli.
Tale restauro aveva riguardato soprattutto i tessuti, sotto la
direzione della Dottoressa Lucia Portoghesi, e da una indagine
anatomo-patologa delle mummie, affidata ad un équipe sotto la
direzione del Prof. Gino Fornaciari dell’Istituto di Anatomia e
Istologia Patologica dell’Università di Pisa. Poiché non era mai
stato eseguito un lavoro di restauro simile, si varò un progetto
pilota che interessava una delle 15 mummie imbrattate. La scelta
cadde su quella del Sacerdote don Marcello Procopio, morto il 7
gennaio del 1844, all’età di 70 anni, come iscritto nel Registro dei
morti. Era tra le mummie più devastate, e si scoperse come il
colore era già penetrato nei pori del viso. Fu varato un piano di
restauro riguardante: “a) La rimozione della vernice con solvente
adeguato o, dove la scabrosità delle parti interessate non lo
consentisse, con pulitura meccanica al microscopio; b) Il
consolidamento ed il fissaggio della desquamazione delle parti;
c) Il trattamento conservativo della mummia con somministrazione di
sostanze antimicotiche ed antiparassitarie e la sua eventuale
conservazione entro vetrina protettiva.” (Mario Sergio Todesco)
Richiesta la consulenza tecnico-scientifica del Centro Regionale
per la Progettazione ed il Restauro di Palermo, ebbe inizio
l’operazione restaurativa. Già inizialmente, con i primi
sopralluoghi, si constatò che l’intera cripta era interessata da
parassiti di diverso tipo, che avevano in parte danneggiato le
mummie. Si decise di procedere a disinfestazione e disinfettazione
dell’ intera cripta. Due anni dopo, ottenuto il finanziamento
finale e le relative certificazioni, fu eseguito l’esame fisico
sanitario delle mummie. Il Direttore della Sezione per i beni
Naturali e Naturalistici presso il Centro, Dott. Giovanni Leto
Barone, suggerì di effettuare la disinfettazione e la
disinfestazione in particolare sulla mummia prescelta. Venne
costruita una bara in legno a tenuta stagna per la mummia, che,
introdotta al suo interno, venne interessata dall’opera di
ripulitura dai parassiti. Fu anche trasferita in un’altra stanza del
Convento. Dopo un periodo di tre settimane con disinfettanti aerei,
iniziò l’opera vera e propria del restauro: affidata al Prof.
Ernesto Geraci di Messina.
Il primo trattamento con solvente
e bisturi, tra l’altro pericoloso per i tessuti, nonostante la
competenza dei restauratori, non portò ad un risultato
soddisfacente. Fu allora eseguito un intervento di “microsabbiatura”
mai tentato prima su tessuti animali. E’ stato impiegato l’ossido di
alluminio come elemento abrasivo ad una pressione massima di 1-1,5
atmosfere. Il risultato è stato esaltante: della vernice imbrattante
non è rimasta traccia, impossibile riconoscere la zona ad occhio
nudo precedentemente imbrattata. Poiché la cripta non è stata
interessata ancora completamente da un lavoro di sterilizzatura e
restauro, si è deciso di conservare don Procopio nella cassa
costruita appositamente. Al di sopra di essa è stata posizionata una
lastra di vetro e posta all’interno della sua cripta. I turisti e i
visitatori, possono rilevare la differenza con le altre mummie dopo
il restauro e riflettere, magari,
sull’azione negativa e quella meravigliosamente positiva
dell’uomo. Un motivo in più per visitare la famosa cripta di Savoca.
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