Nel periodo che va dal XV secolo alla fine del XVII, Savoca vive il
suo periodo migliore. La sua economia e il suo potere politico
aumentano in modo esponenziale. La città si ingrandisce e attira
popolazione. La sua notorietà e la sua influenza piano piano
crescono e si allargano a macchia d’olio. Per prima
l’agricoltura, con la coltivazione di olive e della vite fanno sì
che abbia inizio la produzione d’olio e vino. Quest’ultimo è così
apprezzato che il Senato Messinese inviò cento botti di vino rosso
savocese, nel 1541, a re
Carlo V, in
Spagna. La coltura del baco da seta, importata in periodo arabo,
porta Savoca ad allargare la produzione di seta. Nel XVI secolo
vengono censite nella Terra di Savoca circa venti filande
attive per la lavorazione della seta, e queste acquistano notorietà
per la loro qualità, tanto da essere ricercate in tutta la Sicilia.
Insieme alle attività agricole, commerciali e artigianali, crescono
anche la pesca e l’estrazione mineraria. Secondo quanto riporta il
Fazello, l’attività estrattiva nel territorio savocese riguarda
ricchi giacimenti di piombo, ferro ed antimonio, ed è presente,
anche, una piccola cava di marmo. Alla fine, il litorale costiero
sotto amministrazione savonese è di importanza così rilevante da
essere (dal 1589) costantemente controllato da una guarnigione
spagnola. Sotto il profilo urbanistico, vengono censite a Savoca
(nel 1652) ben 1.156 case, 17 chiese, tre conventi, parecchi palazzi
signorili e un ospedale nel quartiere San Giovanni. Nel '600,
all’apice dell’espansione geografica, sotto la competenza
politico-amministrativa di Savoca, erano inseriti i seguenti
comuni: Savoca, Santa Teresa
di Riva, Furci Siculo, Casalvecchio Siculo, Antillo, Pagliara e una
parte di Roccalumera. Non tutto, però, era perfetto. Poiché la
città dipendeva comunque da Messina, quando si verificarono carestie
(ad esempio, quelle del 1606 e del 1646) del bene più prezioso, il
grano, i savocesi patirono la fame, non essendo floridi i magazzini
della città peloritana. Chiaramente la popolazione era al
malcontento, tenendo anche conto del malgoverno spagnolo e del fatto
che i magazzini delle famiglie benestanti erano pieni di olio,
farina, vino e degli altri generi alimentari. Ne nacque una
cospirazione. A causa, come detto, della carestia del 1646,
nell’anno successivo scoppiarono le rivolte di Palermo (capeggiate
da Giuseppe D'Alesi), e quella di Napoli (capeggiata da Masaniello).
I savocesi prepararono la loro per il 14 luglio 1647, domenica. Come
capitava, la notizia giunse alle orecchie delle autorità. Il giorno
prima della data prescelta, i congiurati vennero arrestati e, con
incredibile velocità, torturati e giustiziati nel Castello di
Pentefur. Le salme, il giorno dopo, giorno di quella rivolta, furono
appesi a testa in giù in Piazza Fossìa,
la principale di Savoca,
come monito per la plebe. Il Senato Messinese, temendo altri
tentativi, istituì ronde notturne di militari nella città savocese.
Non tutto girò come dovuto. Quando Messina si ribellò al governo
spagnolo (nel
1674),
tirando in ballo i francesi, inizialmente Savoca rimase filo
spagnola. Quando, però, le truppe francesi conquistarono Taormina e
Scaletta, e soprattutto, devastarono la vicina città di
Fiumedinisi, i savocesi cercarono una soluzione all’espugnazione
violenta della città. Così, il 3 novembre del 1676, 17 Notabili
Savocesi, guidati dal Capitano Giustiziere don Stefano
Trischitta firmarono la resa con il Visconte di Vivonne Louis
Victor de Rochechouart de Mortemart, comandante dell’esercito
francese. In cambio ottennero che il territorio che andava da Capo
Alì al Fiume
Alcantara, passasse sotto loro giurisdizione(inglobando la
stessa Taormina). Come sappiamo dalla storia, la rivolta al governo
spagnolo non ottenne il risultato sperato. Così, al ritorno degli
iberici, riconquistata Messina, Savoca fu privata di ogni privilegio
economico e politico, perdendo il dominio su diversi paesi
precedentemente amministrati. Finiva l’età d’oro di Savoca.
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