Il
Gattopardo, scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa tra il 1954 e il
1957, è un’opera molto complessa, tra la fantasia e la realtà. Il
libro, in parte, è anche biografico. Il Tomasi trovò spunto,
infatti, in vicende di
famiglia, soprattutto legate al bisnonno,
il Principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa (affermato
astronomo, possessore di un proprio osservatorio astronomico), che
visse nel contesto storico narrato, il periodo risorgimentale della
conquista della Sicilia da parte dei garibaldini. Il titolo stesso è
tratto dallo stemma dei Tomasi di Lampedusa (è presente un
gattopardo).
La trama del libro
La parte iniziale del romanzo si svolge nel
palazzo
gentilizio del Principe Don Fabrizio Salina. Vi risiedono, oltre al
Principe, la moglie Maria Stella e i loro sette figli. Il
racconto inizia nella cappella di famiglia, dove si tiene la recita
del rosario. Il Principe è un tipo che non passa inosservato: molto
alto e dalla carnagione pallida. E’ dedito all’astronomia e a lunghe
riflessioni filosofiche (come su amore e morte). Rappresentante del
ceto aristocratico, egli è cosciente del lento decadere del suo
ceto. La trama si svolge dopo lo sbarco di Garibaldi a Marsala.
Il Principe Salina è conscio dell’affermazione della nuova classe
borghese (soprattutto alla luce dei nuovi avvenimenti), che egli
disprezza. Suo nipote
Tancredi, pur partecipando con i garibaldini all’affermazione del
nuovo ordine sociale, lo rassicura che, comunque, la situazione,
alla fine, andrà a loro vantaggio. Tancredi, inoltre, è legato
sentimentalmente a sua figlia Concetta.
Il Principe e la sua
famiglia si trasferiscono nella loro residenza estiva di Donnafugata.
Vengono accolti dal nuovo sindaco Don Calogero Sedàra, un borghese
benestante, molto patriottico, ma dalle umili origini. Il giovane
Tancredi conosce qui la bellissima figlia del sindaco, Angelica, e
se ne innamora. La ragazza è corteggiatissima, anche se ha modi
tutt’altro che nobili. Concetta trova ripugnante la rivale borghese.
Tancredi, coglie la palla al balzo, e la sposa, assicurandosi così
anche le notevoli ricchezze economiche del padre.
Giunge il
momento del voto del plebiscito, sull’entrata della Sicilia nel
Regno d’Italia. A chi gli chiede la sua posizione su di esso, poco
convinto, suggerisce di votare affermativo. Con elezioni, truccate
dal sindaco, si giunge all’annessione. Nonostante che un funzionario
piemontese, il cavaliere Chevalley, gli offra la carica di senatore
del Regno d'Italia, don Fabrizio rifiuta. Appartenendo alla classe
aristocratica, egli vuole condividerne il destino. Dopo una vita
mesta e grigia, il Principe Don Fabrizio Salina muore, in una triste
camera d’albergo di Palermo, al ritorno da un viaggio per delle cure
a Napoli.
L’ultimo capitolo è incentrato sulle figlie, che,
nel 1910, praticano una formale devozione religiosa. Continuano ad
illudersi che il loro titolo possa contare qualcosa, se non in quel
momento, almeno in futuro. Ma il tempo è, ormai, irrimediabilmente
passato.
|