Nel 1789, durante la Rivoluzione francese,
l'"Assemblea nazionale" decretò la fine del regime feudale, cioè
dell'Ancien Régime. I principi ideali che erano stati alla base
della Rivoluzione, si diffusero ovunque, anche in Regni lontani
dalla Francia. Nacque un nuovo modo di concepite lo Stato ed il
concetto di Nazione. La nobiltà si vide tagliare i diritti feudali e
tutti i privilegi che la ponevano in posizione particolare nei
confronti della società e dello Stato.
Dopo l’unificazione
italiana, nel Regno d’Italia la nobiltà era principalmente regolata
dall’articolo 79 dello Statuto albertino. Questo riconosceva i
titoli, prevedendo, anche, la possibilità di nuove nomine da parte
del Re. In ogni caso, i provvedimenti che interessavano la classe
nobile si dividevano in due tipologie: quella reale (di grazia) e
quella ministeriale (di giustizia). Il titolo nobiliare era
considerato “esistente” di per sé. Nel caso si fosse fatta una
richiesta amministrativa si poteva ottenere un pubblico attestato,
un riconoscimento ufficiale che rendeva la famiglia "nobile di
qualità e di titolo”. Nel 1869, fu creata dal Re la Consulta
araldica del Regno, che svolgeva il carattere amministrativo per il
riconoscimento del titolo. Furono redatti da essa il Libro d'oro
della nobiltà italiana (a cui ci si poteva iscrivere) e l'"Elenco
ufficiale della nobiltà italiana". I i regi decreti del 1926 e del
1927 cancellarono, unificandola, la complessa legislazione in
proposito ereditata da tutti gli Stati preunitari. Un nuovo regio
decreto, nel 1929, nell'assetto giuridico fu inserito l'"Ordinamento
dello stato nobiliare italiano", successivamente ritoccato nel 1943.
Attualmente
Il 2 giugno del 1946, con un referendum,
è stata scelta dal popolo italiano la Repubblica, anziché la
monarchia. L’allora Re Umberto lasciò l’Italia. Il 1º luglio Enrico
De Nicola fu nominato primo presidente della Repubblica Italiana. Il
primo gennaio del 1948 entrò in vigore la nuova Costituzione
repubblicana. L’articolo 3 e la XIV disposizione di essa, a
proposito dei titoli nobiliari, recitano: “non costituiscono
contenuto di un diritto e, più ampiamente, non conservano alcuna
rilevanza". Come vedremo in seguito, il titolo nobiliare più
elevato in assoluto è proprio quello di Re. Appare logico che i
titoli nobiliari, fino a quel momento del tutto riconosciuti, siano
decaduti. Non tanto per il titolo, che viene comunque accettato,
quanto, piuttosto, il suo rapporto con qualsiasi privilegio, che,
come abbiamo visto, fu storicamente collegato al concetto di
nobiltà. In Italia, tutti siamo uguali. Ciononostante, oggi è
possibile tramandarsi titoli nobiliari, perché hanno un valore come
parte del nome. Il titolo nobiliare può, quindi, essere trasmesso
(secondo legge dello Stato italiano) come qualsiasi cognome, a tutti
i propri discendenti, siano essi figli legittimi, naturali, o
adottivi.
Se nel passato storico la nobiltà rappresentava la classe
dirigente del paese, oggi essa è molto legata alla tradizione e alla
memoria storica. In Europa, alcune nazioni non riconoscono i titoli
nobiliari. In Italia la nobiltà continua ad esistere, tant’è che
sono presenti, attualmente. circa quattromila famiglie nobili. Di
queste sono circa 3500 quelle iscritte negli elenchi ufficiali
nobiliari italiani. Se un terzo può solo fregiarsi del titolo di
“nobile”, il restante due terzi possiede un titolo ad esso
superiore. Questi calcoli sono stati realizzati da Enrico Genta e
pubblicati sul periodico Libro d'oro della nobiltà italiana.
Tale conto è stato ritenuto errato per difetto nella XXX edizione
dell'Annuario della nobiltà italiana. Secondo l’Annuario le famiglie
sarebbero circa 7500. Se quest’ultimo dato fosse corretto, in Italia
vi sarebbero 78.000 persone con un titolo nobiliare.
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