Chiaramente tratto
dall'omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il film
realizzato da Luchino Visconti, nel 1963, deve essere trattato a
parte, per l’enorme successo ottenuto, che ha accomunato romanzo e
film, in un connubio da grande evento storico-culturale. Il film
vinse anche la Palma d’Oro al sedicesimo Festival di Cannes.
L’uscita nelle librerie del romanzo Il Gattopardo aveva aperto una
intensa polemica nella sinistra italiana. Mentre alcuni ritenevano
che Tomasi di Lampedusa aveva
denigrato il Risorgimento, altri affermarono che l’autore aveva,
invece, colto l’Italia nel momento di passaggio, in quella che si
definiva la " rivoluzione senza rivoluzione ". Luchino Visconti,
che non era nuovo alla tematica risorgimentale (aveva realizzato il
film Senso, nel 1954),
colpito dal romanzo, nonostante le polemiche, accettò di farne una
trasposizione cinematografica per la Titanus, che aveva i diritti de
Il Gattopardo.
Il film rappresentò un importante momento del
percorso artistico del regista. Comunista fino allora impegnato nel
dibattito politico, Visconti trovò con il film un momento di
riflessione e ripiegamento interiore, iniziando una personale
esplorazione del mondo perduto, che caratterizzerà, nei film
storici, la sua carriera artistica. Successivamente Visconti
affermerà d’essere alla ricerca di una sintesi artistica tra il
Mastro Don Gesualdo di Giovanni Verga e la Recherche di
Marcel Proust.
Il personaggio principale
del film, il Gattopardo, è
il Principe Fabrizio Salina, ruolo ricoperto egregiamente
da Burt Lancaster, colto nel momento storico di passaggio tra Regno
borbonico e Unificazione italiana. E’ un nuovo mondo che si annuncia
con l’avventura garibaldina.
Il film ruota intorno al Principe, dove la realtà in evoluzione
viene vista tutta dal suo punto di vista: “come in un inedito
allineamento planetario, i tre sguardi sul mondo in trapasso: del
personaggio, dell'opera letteraria, del testo filmico che la
visualizza” (Luciano De Giusti,
La transizione di Visconti).
E con lo sguardo del Principe, che coincide con quello del
regista, che si coglie tutta la nostalgia di un momento di crisi e
di decadenza di un passaggio storico ormai conclusosi. La
trasposizione del libro, infatti, non fu piatta. Visconti assegna
alla scena del ballo una parte importante rispetto al romanzo. Essa
è la scena conclusiva (il libro si spinge fino alla morte del
Principe nel 1883 e oltre), con una durata di circa un terzo
del film. E’, evidentemente, una sottolineatura creativa del
regista. Visconti assegna a questa scena il sapore della morte, di
una società e di una classe. Non per niente Burt Lancaster indugia
davanti il quadro La morte del giusto di Greuze. E’ la
rappresentazione simbolica del passaggio tra una classe di "leoni e
gattopardi", con una di "sciacalli e iene". Il generale Pallavicino
(personaggio vanesio e millantatore, interpretato da Ivo
Garrani) e il furbo don Calogero Sedara (Paolo Stoppa),
rappresentano questa società, la borghesia affaristica, che sta per
sostituire quella idealizzata dalla stupenda sala che accoglie il
ballo finale. Il meraviglioso salone, che ospitò le scene del ballo,
appartiene a Palazzo Gangi, a Palermo. Ma il cinismo e
l’ambiguità del nuovo che arriva, è incarnata
dal nipote del Principe, Tancredi (ottimamente interpretato
dal giovane Alain Delon), che tradisce tutte le aspettative del
nonno e, soprattutto, i suoi valori e i suoi ideali morali ed
estetici.
Con Il Gattopardo la
produzione filmica di Luchino Visconti trova una cesura con le opere
precedenti e una nuova rinascita interiore per quelle future.
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