Gli scritti più importanti della latinità
sulla realtà siciliana si debbono alla penna di Cicerone. L'avvocato romano,
che era stato
«questore» per un intero anno
(75 a.C.) a Lilibeo (oggi Marsala), aveva a lungo viaggiato in Sicilia,
prendendo conoscenza della verità in Sicilia. Egli divenne il principale
accusatore del governatore "ladro" Caio Verre, che era stato «pretore» in
Sicilia dal 73 al 70 a.C. Questi si considerava talmente al di sopra della
giustizia da ammettere spudoratamente i suoi furti (come egli stesso
sfacciatamente diceva rubava per tre: per sé, per gli avvocati che lo
avrebbero difeso, e per i giudici che lo avrebbero assolto). Nelle
Verrine,
che Cicerone scrisse in occasione del processo contro Verre (in particolare
nell’orazione detta De
praetura siciliensi), egli
parla a lungo dei meriti dei siciliani, amici leali di Roma, a cui tanto si
deve nelle vicende della terza guerra punica, che avevano permesso la
distruzione definitiva di Cartagine nel 202 a.C . Cicerone ricorda, a tale
proposito, che lo stesso Scipione l'Africano, grato dell'aiuto ricevuto,
aveva distribuito fra i siciliani la parte migliore del bottino di guerra
con Cartagine.
Sempre Cicerone ricorda del console romano Marco Marcello, che, presa la
città di Siracusa, aveva dato ordine di salvare la vita di Archimede, a cui
egli portava massima ammirazione. La sua uccisione doveva considerarsi
solamente un deplorevole incidente dovuto ad un maldestro legionario romano.
Se l’assedio durò tre anni, dal 214 al 212 a.C., era dovuto, scrive Tito
Livio, al genio eccezionale del siracusano Archimede, ideatore e costruttore
di straordinarie macchine da guerra, come catapulte gigantesche, enormi
artigli, e micidiali specchi ustori. Lo stesso Cicerone si considerava lo
scopritore a Siracusa della tomba di Archimede ormai dimenticata dagli
stessi siracusani. Nelle
Discussioni Tuscolane,
scrive: «Perciò, una nobilissima città della Magna Grecia, Siracusa, un
tempo veramente colta, avrebbe ignorato il sepolcro del suo genio cittadino,
Archimede, a tutti superiore per ingegno, se non l’avesse saputo da un uomo
di Arpino».
Un pò storico, un pò avvocato, Cicerone seppe presentare la Sicilia ai
romani, per quello che era, oggettivamente. Non trascurò di mettere in
risalto il fatto che essa da sola con le sue 150.000 misure di grano ogni
anno, era bastevole all’ approvvigionamento dell’esercito e regolarizzava il
mercato interno cerealicolo di Roma. A questa ingente quantità di grano si
associò il contributo finanziario durante la "guerra sociale", quando molti
alleati italici si erano ribellati contro Roma per ottenere la cittadinanza
romana. Cicerone mise in risalto quello che era stato il carattere dei
siciliani: spirito di sopportazione, bontà e parsimonia, virtù tipiche
romane nell'antichità. |