Lo
stesso Catone il Censore, a proposito della grande quantità del grano
siciliano, descriveva la Sicilia come
cella penuria Rei pubblicae nostrae,
ed il geografo Strabone e lo storico
Polibio la definirono
tameion tes Romes ,
"il magazzino di Roma".
Diversi sono i collegamenti tra la Sicilia e il grande scrittore romano
Virgilio. Ai suoi inizi letterari, egli dedicò un poemetto all'Etna e alle
sue eruzioni. In questo testo Virgilio riprese un'antica leggenda siciliana:
quella dei Pii
Fratres
catanesi, Anfìnomo e Anàpia. Essi, durante
un'eruzione, invece di scappare tornarono sui loro passi, mettendo in salvo
i loro genitori ormai paralitici. Questa leggenda, divenuta romana nella
versione del Pius
Aeneas,
successivamente gli fu di ispirazione per l'Eneide: Anchise salva il vecchio
padre, anch’esso paralitico, dall’incendio di Troia.
Nell’Eneid,
libro III, Virgilio parla lungamente sul
periplo della Sicilia, e, nel libro V, descrive la cerimonia funebre in
onore di Anchise, a suo dire, morto a Trapani.
Continuando con i riferimenti all'isola, nelle
Bucoliche,
e per la precisione nella IV, la più importante, egli inizia i suoi versi
invocando le muse siciliane (l'allusione è al poeta siracusano Teocrito). In
essa profetizzò la venuta di un «Puer», salvatore del mondo. Ovviamente
durante il Medioevo questa profezia fu messa in rapporto con il
Cristianesimo e gli valse nella Divina Commedia il compito di guida di Dante
nel suo viaggio letterario (nonostante fosse un pagano).
Altri riferimenti li abbiamo nelle
Georgiche,
dove appaiono divinità siciliane come Cerere e Proserpina.
Anche
Orazio non tralasciò di parlare della Sicilia, Egli scrive che la grande
cultura greca conquistò Roma: «la Grecia domata, a sua volta domò il rozzo
vincitore, e fece conoscere la cultura al rustico Lazio». Tale cultura era
ovviamente propria non solo alla Grecia, ma anche della Magna Grecia (come
gli stessi romani chiamavano il sud della penisola e la Sicilia). Che questa
cultura avesse punte d'eccellenza lo dimostra l'opinione di Orazio sul
siciliano Epicarmo da Siracusa, che sarebbe stato il fondatore della
Commedia, nel sesto secolo a.C. Non manca di elogiare il filosofo siciliano
Empedocle da Agrigento, che si gettò nel cratere dell’Etna per studiare e
conoscerne i misteriosi fenomeni vulcanici. Molti altri furono i riferimenti
alla Sicilia, di cui egli era sincero ammiratore.
Altri poeti romani fecero riferimenti alla Sicilia, come Ovidio nelle
Metamorfosi
o Silio Italico nelle
Puniche.
Apuleio chiamò i Siciliani «trilingui», conoscendo e parlando il greco, il
latino e il punico.
Sembra anche che lo stesso Augusto abbia composto un poemetto intitolato
Sicilia,
che però non è giunto a noi. |