Il
7 novembre
1830 fu incoronato Re il figlio Ferdinando II. La sua
azione politica (almeno fino al 1847) fu riformatrice. Per
modernizzare lo Stato furono introdotte modifiche al settore
amministrativo ed economico (ad esempio, la
diminuzione della
fiscalità). Numerosi esuli furono
richiamati in patria, come il Carascosa o il il generale
Guglielmo Pepe, che, tra l’altro, sedò le rivolte appena
scoppiate in Sicilia. Furono applicate innovazioni
all’amministrazione delle carceri, ispirate ai principi
contemporanei della scuola positiva penale, che cercava il recupero
dei malfattori incarcerati. Ferdinando II instaurò dei buoni
rapporti con le potenze europee, soprattutto per quanto riguarda gli
investimenti esteri all’interno del Regno. La sua visione
prospettica mirava, però, verso l’acquisizione di metodi e
tecnologie industriali, tali da far crescere lo Stato e affrancarlo
dalle influenze politiche proprio di queste monarchie, raggiungendo
una piena autonomia. Alla lunga questa politica estera, invece, creò
dissenso negli Stati europei, portando il Regno ad essere
politicamente isolato.
Una spaventosa epidemia
di colera si diffuse in Europa nel 1836, giungendo anche a Napoli.
La Sicilia, che inizialmente ne era rimasta immune, nel giugno del
1837 fu colpita anch’essa dal morbo. Inizialmente interessò solo
Messina, a causa della sua attività commerciale, che la rendeva
particolarmente esposta, ma successivamente il colera si sparse per
tutta la regione. La situazione era talmente grave che a Palermo si
contarono fino a 1800 morti in un solo giorno. Come è noto, a quel
tempo la plebe, ma non solo, era convinta che le pestilenze erano il
prodotto dei feroci “untori”. In Sicilia il malcontento verso il
governo borbonico era tale, che la gente si convinse che era proprio
il governo centrale a spargere il colera con suoi untori inviati e
stipendiati in Sicilia. La reazione, per certi versi assurda, portò
la popolazione ad insorgere, assaltando per primi gli Uffici
Sanitari, colpevoli di spargere il contagio, e uccidendo diversi
funzionari statali.. Quando un girovago francese, evidentemente
cretino, incredibilmente
confessò di avere sparso il contagio per conto del governo, le
fantasie dei siciliani divennero realtà, aumentando la rabbia e il
caos. A Catania la folla prese il governo della città e fu cambiata
la commissione sanitaria in una giunta di pubblica sicurezza. Questa
all’inizio chiese la resa della guarnigione, al comando del
colonnello Santarello, poi si trasformò in una vera e propria giunta
di governo, con tanto di
giuramento di fedeltà all’indipendenza siciliana nel duomo di
Catania. Il governo borbonico di Napoli si affrettò ad inviare
nell’isola forze militari (4000 uomini) e di polizia, guidate dal
marchese Francesco Saverio del Carretto. Grazie anche all’aiuto
dell’aristocrazia locale, con arresti e fucilazioni nelle piazze, fu
riportato l’ordine nel territorio siciliano. La città di Siracusa
perse il privilegio d’essere capoluogo di provincia, che fu spostato
a Noto il 23 agosto 1837. Alla fine dell’anno si contarono
settantamila morti per il colera e novanta per le fucilazioni della
repressione borbonica. Poiché la popolazione era convinta che il
morbo era stato diffuso dal governo, fu fatto conto unico. Continuò
a crescere l’avversione dei siciliani per la dinastia dei Borbone |