Mentre i soldati borbonici
attendevano a Reggio l’arrivo dei garibaldini, Garibaldi,
sorprendendo tutti, partendo da Giardini (posta sotto la rocca di
Taormina), il 18 agosto 1860, sbarcò, con un esercito di circa
ventimila volontari, sulla parte jonica della Calabria a Melito
Porto Salvo. Nella Regione le truppe borboniche non offrirono un
argine adeguato all’avanzata di Garibaldi. Interi reparti si
disperdevano o passavano dalla parte dei garibaldini. Truppe
borboniche, al comando del generale Giuseppe Ghio, il 30 agosto, si
fece disarmare a Soveria Mannelli. Con una marcia ormai trionfale
Garibaldi risalì la penisola sino a Salerno. Ormai al corrente
della situazione e del pericolo, conscio d’essere stato tradito da
molti generali, Francesco II lasciò Napoli e mettendosi al comando
delle truppe rimaste fedeli, circa 50.000 soldati, si diresse nella
piana del Volturno, attorniata dalle fortezze di Gaeta e Capua. il 7
settembre, con la città praticamente aperta, Garibaldi entrò a
Napoli accolto da liberatore. I soldati rimasti, anche se
numerosissimi, rinchiusi nei forti cittadini, offrirono, ormai, una
resistenza puramente simbolica, per poi arrendersi. La successiva
battaglia del Volturno fu decisiva dell’intera sorte della
spedizione. Lo scontro fu aspro, al comando del generale Giosuè
Ritucci, le truppe borboniche si batterono con decisione contro i
garibaldini, tanto che, alla fine della battaglia, il primo
d’ottobre, il risultato fu pari. Ma in una situazione come quella,
ormai del tutto compromessa, il “pareggio” voleva dire per Francesco
II solo sconfitta. A Napoli giunsero, contemporaneamente, sia il
Crispi che il Depretis, ognuno per perorare la propria causa.
Garibaldi in un rapido viaggio a Palermo, resosi conto della
situazione, rinviò l’annessione e nominò prodittatore Antonio
Mordini. Questo, cogliendo la transitorietà del momento, seppe
mediare tra aristocratici (conservatori) da un lato, che volevano
l’annessione immediata, e dall’ altro i repubblicani, che, invece,
temporeggiavano nel tentativo di giungere alla repubblica. Con
piacere Garibaldi venne a conoscenza, anche, della liberazione delle
fortezze di Augusta e di Siracusa avvenuta nei primi giorni del mese
di settembre.
Contemporaneamente a questi avvenimenti, il
genio politico, dalle mille facce, di Cavour, ebbe una “vittoria”
decisiva. Egli convinse Napoleone III che Garibaldi andava fermato,
perché uomo pericoloso. Questi, infatti, poteva costituire nei
territori conquistati, una Repubblica, assai dannosa per le
influenze che poteva avere sull’equilibrio dell’intera Europa.
Oppure, se non fermato, poteva dirigersi direttamente verso Roma,
mettendo a rischio la figura stessa del papa. Napoleone III, messo
di fronte all’interrogativo Garibaldi, accettò che il regno di
Sardegna inviasse una spedizione militare per fermarlo e mantenere
un ordine politico. A questo punto, Cavour inviò due contingenti
verso sud, passando per il lato adriatico della penisola. L’esercito
piemontese, al comando dei generali Manfredo Fanti ed Enrico
Cialdini, in sostanza, invasero Marche ed Umbria, Stati pontifici,
scontrandosi con l’esercito papalino nella battaglia di
Castelfidardo, presso Ancona, il 18 settembre (il tutto senza
dichiarazione di guerra). Vittoriosi, continuarono l’avanzata
passando per l'Abruzzo ed il Molise, zone del Regno borbonico. Come
se ci fosse stato un appuntamento, le truppe piemontesi raggiunsero
Garibaldi nei giorni successivi a quello della battaglia del
Volturno (I ottobre). Poiché dal 9 ottobre, il comando venne
preso direttamente dal re Vittorio Emanuele II, si ebbe il famoso
incontro di Teano fra il re e Garibaldi, il 26 ottobre 1860. Dopo
l’incontro ed il “passaggio di consegne”, il re, il 7 novembre,
entrava trionfalmente a Napoli. Immediatamente sciolse l'esercito
garibaldino (che ormai contava più di 50.000 soldati), mentre
Garibaldi si ritirava, nuovo Cincinnato, nell’isola di Caprera.
Il
21 ottobre
1860
fu indetto a Napoli un
plebiscito
per l’annessione al
Regno di Sardegna
(contestato), in cui non fu garantita la segretezza del voto e di
scarsa partecipazione. Nella città, ad esempio, alcuni seggi furono
presieduti da bersaglieri, carabinieri e garibaldini. Anche se il
prodittatore della Sicilia Mordini, aveva indetto per il 5
ottobre i comizi per eleggere i deputati dell’Assemblea siciliana,
che avrebbe, evidentemente, deciso l’annessione in modalità
federativa (come volevano il Crispi e Cattaneo), seppe fermarsi in
tempo per annullare l’appuntamento elettorale. Il 22 ottobre,
invece, si ebbe il plebiscito unitario in Sicilia con la formula
«Italia e Vittorio Emanuele». Il 4 novembre, dal balcone di Palazzo
Steri a Palermo, fu dato l’annuncio della schiacciante vittoria
della volontà riunificatrice. Il 4 e il 5 novembre si tennero,
intanto, i plebisciti riguardanti l'annessione di Marche ed Umbria.
Il primo dicembre il Re Vittorio Emanuele II giunse a Palermo e
a lui fu consegnato il risultato del plebiscito.
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