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A Nola, a luglio del 1820, diffusasi la notizia che in Spagna era
stata ripristinata la
Costituzione del
1812, militari dello stesso esercito borbonico insorsero al
comando dei sottotenenti
Michele Morelli e
Giuseppe Silvati,
appoggiati anche dal generale Guglielmo Pepe.
La ribellione era reale e totale. Ferdinando resosi conto che la
situazione era del tutto incontrollabile, a
Napoli il 6 luglio,
concesse una Costituzione di tipo spagnolo (fu chiamata, infatti
“spagnola”), nominando suo vicario
il figlio
Francesco. Il 14 luglio, cominciarono a giungere a Palermo le
notizie degli avvenimenti napoletani, insieme all’ulteriore notizia
che Messina, sollevatasi, aveva costretto il governatore
militare, principe di Scaletta, a concedere alla città la stessa
costituzione spagnola, non essendo arrivata la comunicazione da
Napoli dell’estensione ai siciliani della nuova Costituzione. La cittadinanza palermitana entrò in fibrillazione. Vennero su
due piedi ricostituiti i vecchi partiti dei Cronici e degli
Anticronici. Mentre i primi chiedevano al generale Naselli che
tornasse in vigore la Costituzione del 1812, i secondi, non da meno,
propugnavano la promulgazione della costituzione spagnola. I Cronici
e i rivoltosi palermitani avevano un chiaro intento separatista, e
iniziarono a portare all’occhiello un nastro di colore giallo,
simbolo ormai della sollevazione popolare. Il generale Naselli, se
da un lato concesse anch’esso la costituzione spagnola, dall’altro
dichiarò lo stato d’assedio della città. Nei tumulti che ne
seguirono la parola d’ordine divenne dichiaratamente una:
indipendenza. La rabbia della gente portò alla devastazione di
uffici pubblici, distruzione delle insegne del governo borbonico e,
addirittura, all’assalto del castello di Palermo. |
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