“…Con giusti principi, il cielo seconderà la giustissima impresa.
Siciliani, alle armi!”,
così terminava il proclama
diffuso e così fu. Puntualmente la
mattina del 12 gennaio 1848, i cittadini si riversarono per le
strade. I capi arringarono la folla da palchi allestiti in fretta,
furono distribuite coccarde tricolori e sventolate delle
improvvisate bandiere tricolore. Se il primo giorno fu quasi
incruento, dal secondo si cominciò a fare sul serio. Capitanati da
Giuseppe La Masa, infuriarono scontri ovunque nel tentativo di
espugnare gli uffici pubblici e le roccaforti borboniche, difese da
pochi e spaventati militari. Furono subito richiesti rinforzi
a Napoli. Fu organizzato un comitato generale degli insorti
presieduto da
Ruggero Settimo. Ma il 15 gennaio mentre in città venne occupata la
prefettura di polizia, all’orizzonte apparvero le navi borboniche
con i rinforzi salpate da Napoli. Gli aiuti erano costituiti da
cinquemila soldati imbarcati su otto vascelli militari, sotto la
guida del maresciallo De Sauget e dal conte d’Aquila, fratello di
Ferdinando II. Le truppe provenienti da Napoli, sbarcate a terra non
riuscirono, però, a congiungersi con quelle del generale De Maio,
completando l’accerchiamento. Senza alcuna pietà fu dato allora
l’ordine alle navi di bombardare la città. Si verificarono
esplosioni, crolli e incendi di palazzi palermitani, tra cui anche
il monte di pietà. La tenace resistenza della popolazione impedì ai
borbonici di prendere la città. Il conte d’Aquila tornò a Napoli per
discutere la situazione con il fratello Ferdinando, e questi provò,
con una serie di concessioni ai siciliani, a ripristinare lo status
quo, ma i palermitani non lo ascoltarono, proseguendo nei
combattimenti. Arrivò il momento per il maresciallo Vial e il
generale De Maio di lasciare le posizioni e di imbarcarsi per
Napoli. L’ultimo forte capitolò il 4 febbraio 1848. Intanto che
si svolgevano i fatti di Palermo, il 24 gennaio insorse Catania e il
25 Messina. Questa subì l’analogo trattamento di Palermo da parte
dei borbonici. La Cittadella, posta sulla falce di Messina, bombardò
impietosamente la città de fronte. Solo quando i rivoltosi la
espugnarono i bombardamenti cessarono. Alle tre città maggiori si
aggiunsero nella rivolta anche Agrigento, Acireale, Caltanissetta,
Corleone, Termini Imerese, Trapani e tanti piccoli e piccolissimi
paesi siciliani. Il 27 gennaio 1848
le vicende siciliane spinsero anche i liberali napoletani
all’agitazione popolare con la richiesta in più della costituzione.
Ferdinando in quel momento non poté fare altro che emanare il
decreto che preannunciava la costituzione, informandone, stavolta,
anche i siciliani il 29 gennaio. La Costituzione fu emanata l’11
febbraio. Ma stavolta i siciliani con il comitato provvisorio di
governo, diretto da Ruggero Settimo, la rifiutò (6 marzo 1848).
Subito dopo furono indetti i i comizi per la nomina dei deputati al
Parlamento. Il 25 marzo 1848 i rappresentanti eletti giurarono
solennemente fedeltà alla Costituzione (quella del 1812) nella
chiesa di San Domenico di Palermo.
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