Dopo la Guerra di Crimea, la
pubblicazione sul «Morning Post» delle Lettere siciliane di
Giovanni Raffaele, che trattavano degli orrori delle prigioni
borboniche, e che
avevano scandalizzato l’opinione pubblica inglese, Francia e
Inghilterra, nell’ottobre del 1856, esortarono alla moderazione
Ferdinando II, ma dopo aver ricevuto una brusca risposta
ruppero i rapporti diplomatici con Il Regno delle Due Sicilie.
Un paio di mesi dopo, l’8 dicembre 1856, Ferdinando II, fu oggetto
di un’attentato da parte del soldato calabrese Agesilao Milano.
Salvatosi spinse per la soppressione di qualunque forma sovversiva.
Ma se il “Re bomba” si era salvato miracolosamente nel ’56, a maggio
del 1859 morì sul serio. Gli successe Francesco II, il «seminarista
vestito da generale», che la gente chiamò ironicamente «Franceschiello».
Francesco, di carattere mite, ebbe la colpa di non riuscire a
rompere l'isolamento politico in Europa del Regno delle Due Sicilie,
così fatalmente assistette alla sua dissoluzione. Egli cercò di
presentarsi ai siciliani con un volto meno truce e intransigente,
tanto che, il 2 giugno 1859, richiamò il vecchio generale Filangieri
alla direzione del governo di Sicilia, il quale ripropose nell’isola
la sua politica di conciliazione. Ma i tempi erano mutati. Il 16
giugno 1859, Francesco II emanò l’atto di clemenza verso i
fuoriusciti siciliani, che però non ebbe risultati, perché i
patrioti preferirono rimanere in esilio. Lo stesso Filangieri.
accortosi che i suoi atti cadevano nel vuoto, dopo poco rassegnò le
dimissioni, andandosene Intanto giungevano in Sicilia le notizie
sull’andamento, stavolta positivo, della seconda Guerra
d’Indipendenza. I siciliani festeggiarono l’avvenuta vittoria di San
Martino e Solferino, nonostante il pugno duro del Maniscalco e delle
forze di polizia da lui dirette. Poiché i siciliani non potevano
certo gridare “Viva l’Italia!”, presero l’abitudine di urlare “Viva
la càlia!” ( cioè «Viva i ceci tostati!»). Nascostamente furono
riorganizzati i comitati rivoluzionari. Il Crispi, dopo Messina,
Catania e Siracusa, si recò a Palermo e In una riunione ai vertici,
si decise di insorgere il 4 ottobre, (giorno dell’onomastico di
Francesco II). Ma non tutto era ancora pronto e il tentativo
insurrezionale fu rinviato. La notizia della fine improvvisa della
guerra d’indipendenza (con armistizio di Villafranca), fu come una
doccia fredda per i siciliani. Ma ormai i tempi erano maturi,
manifesti e volantini giravano comunemente tra la gente (recanti
consigli e incoraggiamenti). Lo stesso Mazzini, con una lettera del
2 marzo 1860, incitò i siciliani a prepararsi alla rivolta. E,
intanto, si diffuse la notizia del prossimo arrivo di Garibaldi,
motivando ancora di più la popolazione. Si formarono gruppi di
patrioti sui monti vicino Palermo, mentre si operava il rinserro dei
ranghi dei gruppi rivoluzionari, sotto la presidenza del vecchio
barone Casimiro Pisani.
Si decise la rivolta per
il 4 aprile 1860, partendo dal convento palermitano della
Gancia. Un delatore scombinò i piani: la polizia intervenne
inaspettatamente circondando l’edificio e dando battaglia con gli
insorti. In tutta la Sicilia vi furono arresti e scontri. Poteva
essere la fine, invece fu l’inizio. I due patrioti Rosolino Pilo e
Giovanni Corrao, il 10 aprile, tornati in Sicilia e trovatala in un
completo stato di agitazione, scrissero subito a Garibaldi che l’ora
era quella giusta e la popolazione pronta. Per loro opera i gruppi
rivoluzionari non si dispersero. Ora si attendeva l’arrivo del
generale Garibaldi. Il 5 maggio 1860 il generale e i suoi Mille
partirono da Quarto (Genova) alla volta della Sicilia.
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