Il Regno di Sicilia aveva mantenuto da sempre la propria
indipendenza. Molte dominazioni e molti Re si erano succeduti sul
trono siciliano durante il passare dei secoli. Anche se Ferdinando
di Borbone era contemporaneamente re di Sicilia e re di Napoli, ciò
non ne modificava l’autonomia e l’indipendenza dell’isola. Il 23
gennaio 1806, occupata Napoli da parte di Napoleone, Re Ferdinando
si rifugiò a Palermo. In un periodo di grandi cambiamenti, dovuti
all’azione dirompente di Napoleone e del suo portato rivoluzionario
rispetto allo status quo precedente, l’Inghilterra e la Sicilia
rappresentavano un baluardo inattaccabile ad opera dei francesi. Il
Parlamento siciliano, pur accogliendolo e ospitandolo con grandi
onori (ma non come otto anni prima)), a denti stretti, il 10 luglio
1806, votò un finanziamento straordinario di ben centomila ducati a
suo favore. La Sicilia e l’Inghilterra si accollarono le spese della
guerra. Pochi sanno che la parte orientale dell’isola divenne, in
pratica, un protettorato inglese, che ne garantiva la difesa, specie
dopo i trattati del 30 marzo 1808 e del 13 maggio 1809, e,
soprattutto dopo il tentativo di Murat, del settembre 1810, di
sbarcare in Sicilia. Questi tentò un colpo di mano a Santo Stefano,
nelle vicinanze di Messina, ma venne ricacciato in mare
dall’intervento armato dei contadini e degli abitanti del luogo. Per
tutta risposta Ferdinando, invece di ringraziarli, gli chiese di
consegnare le armi.
Ferdinando I, nonostante i finanziamenti
degli inglesi per il rafforzamento dell’esercito borbonico, che,
tuttavia, rimaneva in gran parte inesistente, chiese al Parlamento
siciliano, nel 1810 un ulteriore somma di 360mila onze. Il
Parlamento presieduto da Carlo Cottone, principe di Castelnuovo,
gliene accordò solo 150mila. L’anno successivo, con tre decreti del
14 febbraio 1811, per tutta risposta, Ferdinando impose tre nuove
tasse ai siciliani. Il 19 luglio 1811, ai parlamentari insorti a
questa decisione proditoria, fece arrestare ed esiliare nelle isole
minori siciliane, quali sovversivi dell’ordine pubblico, gli
esponenti maggiori del Parlamento. Tra gli altri: i principi Cottone
di Castelnuovo, Ventimiglia di Belmonte, Alliata di Villafranca,
Riggio d’Aci e il duca Gioeni d’Angiò. La nuova tassa decretata
dell’1% su tutti i pagamenti e le operazioni bancarie che si
svolgevano in Sicilia, danneggiava, però, anche gli interessi
commerciali inglesi nell’isola. Giudicando che fosse venuto il
momento di mettere un freno alle invenzioni del Re borbonico, il
Foreign Office inglese, il giorno successivo l’emanazione del
decreto, inviò a Palermo, come ministro plenipotenziario, lord
William Bentinck, che, forte di 14.000 soldati, non ebbe difficoltà
a far capire a Ferdinando che la situazione era mutata. Dopo aver
richiamato a Palermo gli esiliati e abolita la legge, alla regina,
che gli si opponeva, ordinò di ritirarsi in una villa a
Mezzomonreale. Anche Ferdinando, dopo avere nominato vicario
generale il figlio Francesco, si ritirò in una villa nel Parco della
Ficuzza.
Su suggerimento di Lord Bentinck, il giurista
siciliano Paolo Balsamo si mise al lavoro per una nuova
Costituzione. Essa venne redatta in 12 articoli, prendendo a modello
la Costituzione inglese. Dopo averla esaminata e approvata, il
Parlamento siciliano la emanò il 19 luglio 1812. Ferdinando, con
grande magnanimità, la sanzionò l’anno dopo, il 25 maggio 1813
(anche se è chiamata “del 1912”). In realtà quella siciliana era una
costituzione più moderna, borghese e liberale di quella inglese.
L’atto fu tale che divenne subito, ovunque, esempio di liberalità
per i tempi. I primi avversari della nuova Costituzione furono i
siciliani stessi. A causa della carestia del 1812-13, dei
cambiamenti sull’assetto latifondista, delle avversioni intestine
tra città siciliane e dei principi stessi, il Parlamento era
percorso da tensioni dirompenti. Si vennero a creare al suo interno
due distinte fazioni, quella
dei «Cronici» (i costituzionalistici, che facevano capo al giornale
«La cronaca di Sicilia») e quella degli «Anticronici», che gli si
opponeva. La regina Maria Carolina tentò insieme al marito di fare
ritorno a Palermo per approfittare della situazione creatasi, ma
Bentinck impedendoglielo, la
confinò prima a Castelvetrano, poi a Mazara del Vallo. La regina
vista la situazione impossibile per le sue mire, partì facendo
ritorno in Austria (14 giugno 1813), dove morì l’anno seguente.
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