La rivolta fu, però, male organizzata tra i siciliani stessi.
Mentre la maggioranza dell’isola aderiva alla Costituzione spagnola,
Palermo inviò emissari a Messina e Catania per farle aderire al
sogno dell’indipendenza isolana. Il principe di Scaletta, investito
dal Re del compito di sedare i tumulti, fece arrestare questi
ambasciatori, spedendoli al carcere di Gaeta, e vietando, altresì,
ai presidenti delle 7 province siciliane di avere contatti con la
giunta palermitana. In pratica in Sicilia scoppiò la guerra civile.
A Palermo furono formati tre reparti armati
(soprannominati guerriglie),
per lo più costituiti con galeotti liberati, e inviati contro i
centri siciliani che non avevano aderito alla loro rivolta. Fu
sparso molto sangue fraterno, ed avvennero eccidi come a Mistretta o
quello del principe di San Cataldo a Caltanissetta, il 13
agosto 1820. Una spedizione militare, al comando del generale
Florestano Pepe, partita da Napoli, sbarcò il 5 settembre 1820 sulle
spiagge di Milazzo,, protetta da navi della flotta borbonica.
Raggiunto da un reparto di volontari messinesi, marciò su Palermo.
Per evitare il peggio, il principe di Villafranca si incontrò con
Pepe a Termini Imerese. Fu stipulato l’accordo che prevedeva:
un’amnistia generale, l’ingresso delle truppe borboniche in città
per il 25 settembre e la riapertura del
Parlamento siciliano. Se il trattato fu approvato dalla giunta, non
lo fu dal popolo, che, gridando al tradimento, rinforzò gli
sbarramenti, respingendo per diversi giorni i soldati napoletani. Il
generale Pepe, il 5 ottobre, nell’attesa di rinforzi, incontrò su
una nave inglese (il Racer) il nuovo capo della giunta, principe di
Paternò. Anche qui si raggiunse un accordo: un’amnistia generale, la
consegna dei forti e
l’adozione della costituzione spagnola, eventualmente modificata dal
Parlamento siciliano.
Intanto a Napoli si insediava il nuovo Parlamento il primo
ottobre. Il generale Pepe non agiva di certo per sua iniziativa,
ciononostante, fu sconfessato da Napoli, Re e Parlamento napoletano
compreso. Si dimise, lasciando il comando, provvisoriamente, al suo
luogotenente, principe di Campana, che iniziò arresti tra i ribelli.
Venne inviato da Napoli, il 7 novembre 1820, il nuovo comandante
militare della spedizione in Sicilia, il generale Pietro Colletta
(futuro storico). Questi molto pragmaticamente, fece giurare la
fedeltà alla costituzione spagnola e indisse le elezioni per il
Parlamento di Napoli, che ancora non si erano tenute a Palermo e
provincia. Non risolse gran ché, perché gli eletti palermitani si
rifiutarono di partire per Napoli.
Intanto, tra le
decisioni prese dal nuovo Parlamento della città partenopea, vi fu
la ridefinizione delle nuove strutture amministrative
provinciali e comunali, ma, soprattutto, nuove leggi sulla libertà
di stampa e di religione. Il 16 febbraio del 1821, si tentò una
riconciliazione con le spinte autonomistiche siciliane e venne
composta una commissione, che analizzasse il problema, mantenendo,
però, il principio dell’unità del Regno.
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